Cass. civ., Sez. II, Sent., (data ud. 03/06/2003) 24/11/2003, n. 17881
La sentenza della Corte di Cassazione (n. 17881 del 24 novembre 2003) riguarda la divisione dei beni ereditaria tra due fratelli, Bocconi Giuliano e Bocconi Carlo. La questione principale riguarda la validità di un atto di divisione del patrimonio mobiliare, sottoscritto nel 1984, e l’efficacia di tale atto in assenza della partecipazione della madre, usufruttuaria “ex lege”.
La corte ha escluso che l’atto fosse nullo per la mancata partecipazione della madre, ritenendo che il diritto di usufrutto non impedisse la validità della divisione contrattuale. Inoltre, la corte ha confermato che la domanda di divisione giudiziale proposta da Carlo Bocconi in appello fosse nuova e quindi inammissibile, concludendo che la causa dovesse essere rinviata alla Corte d’Appello di Genova per esaminare la scrittura e determinarne la validità come contratto di divisione o come bozza preparatoria.
DIVISIONE
INTERVENTO IN CAUSA E LITISCONSORZIO
Svolgimento del processo
Con citazione notificata il 12 novembre 1986 Giuliano Bocconi convenne in giudizio davanti al tribunale di Massa Carrara il fratello Carlo Bocconi e, premesso che il 26 maggio 1968 era deceduto il padre Gastone, e che i due fratelli avevano detenuto la massa ereditaria immobiliare, effettuando acquisizioni e vendite; che in data 12 novembre 1973 avevano sottoscritto un atto di divisione e che, da allora, ciascuno aveva pacificamente posseduto la porzione rispettivamente assegnatagli; che il fratello Carlo si era rifiutato di formalizzare la divisione, tutto ciò premesso chiese che fosse accertata l’autenticità della sottoscrizione dell’atto di divisione, con ordine al conservatore dei registri immobiliari di provvedere alla trascrizione.
Costituendosi, il convenuto riconobbe l’autenticità della sottoscrizione della scrittura prodotta, ma oppose che esisteva anche considerevole patrimonio mobiliare che era stato diviso con altra scrittura in data 17 maggio 1984, alla quale il fratello rifiutava di dare esecuzione, e chiese – in via riconvenzionale – che si provvedesse in tal senso, previo riconoscimento della efficacia di negozio di divisione della scrittura suddetta, eccependo altresì che al giudizio non fosse partecipe la madre, titolare di usufrutto uxorio.
Nelle more del giudizio Bocconi Carlo ottenne dal presidente del tribunale di La Spezia in data 6 ottobre 1988 decreto ingiuntivo per la consegna dei beni mobili indicati nella ricordata scrittura 17 maggio 1984. All’ingiunzione fece opposizione il fratello Giuliano, contestandone la legittimità ed eccependo la litispendenza.
Riunite le due cause, all’esito dell’istruttoria il tribunale pronunciò in data 8 aprile 1993 sentenza non definitiva con la quale, affermata l’autenticità della sottoscrizione di Bocconi Carlo, dispose procedersi alla trascrizione dell’atto divisionale, rimettendo la causa in istruttoria per consentire la chiamata in giudizio della madre e per procedere ad ulteriore perizia.
Con la successiva sentenza il tribunale, dato atto della mancata citazione in giudizio della madre delle parti, revocò il decreto ingiuntivo senza ulteriori statuizioni.
Avverso la sentenza propose appello Bocconi Carlo, insistendo perché si desse seguito alla divisione dei patrimonio mobiliare, fosse reso il conto, e fossero liquidate le spese del procedimento chiuso con la sent. n. 265/1993.
La controparte, costituendosi, eccepì la novità delle domande proposte e, nel merito, che l’atto 17 maggio 1984 era una mera bozza preparatoria priva del carattere di definitività.
La corte d’appello di Genova, con la sent. n. 410/2000, respinse l’appello di Bocconi Carlo avverso la sentenza del tribunale di Massa Carrara del 9 dicembre 1997, dichiarò compensate le spese relative al procedimento definito con sentenza 23 febbraio-8 aprile 1993, e condannò l’appellante alla rifusione delle spese del grado.
Argomentò la corte – in ordine alla due cause riunite – che doveva essere confermata la revoca del decreto ingiuntivo perché questo era stato ottenuto indebitamente da Bocconi Carlo sul presupposto che l’atto prodotto avesse natura di divisione contrattuale definitiva, mentre detta natura doveva essere pacificamente esclusa, quanto meno perché non aveva partecipato all’atto la madre, titolare dell’usufrutto uxorio, assenza che non era superata dalla sopravvenuta morte della predetta, perché il problema non era attinente al profilo processuale (che era risolto, stante la avvenuta chiamata della madre, erroneamente disconosciuta dal tribunale), bensì al profilo sostanziale della efficacia e valenza della scrittura in questione.
Quanto alla domanda intesa ad ottenere la divisione giudiziale del patrimonio mobiliare, questa – ad avviso della corte – doveva ritenersi inammissibile sotto il profilo della novità, unitamente a quella della resa del conto, novità eccepita dalla controparte ma rilevabile anche d’ufficio.
Per la cassazione della descritta sentenza ha proposto ricorso Bocconi Carlo sulla base di tre motivi, illustrati da memoria, cui resiste Bocconi Giuliano con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 713 e 1100 c.c., nonché vizi motivazionali, nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto di dover confermare la sentenza di primo grado che aveva accolto l’opposizione di Bocconi Giuliano al decreto ingiuntivo, escludendo la natura definitiva della scrittura divisionale del 17 maggio 1984 sul presupposto che la mancata partecipazione all’atto della madre delle parti, titolare dell’usufrutto uxorio, avrebbe inciso sul valore sostanziale del negozio.
Assume il ricorrente che per procedere alla divisione è necessario, ma anche sufficiente, che all’atto partecipino i soggetti titolari dei diritto in comunione, sicché nello scioglimento della comproprietà non è necessario che intervengano anche i titolari di diritti diversi, come nella specie l’usufruttuaria “ex lege”, fatta salva l’inefficacia dell’atto divisionale che avesse leso i suoi interessi. Aggiunge il ricorrente che la qualità di litisconsorte necessario dell’usufruttuario sussiste nella divisione giudiziale, ma non in quella contrattuale, perché in questo caso l’interesse dell’usufruttuario alla intangibilità della sua quota trova sufficiente tutela nella facoltà dell’usufruttuario di opporre l’inefficacia del negozio nei suoi confronti. Conclude il ricorrente che la corte territoriale avrebbe dovuto ritenere la validità della divisione e, quindi, confermare il decreto ingiuntivo, anche perché in sede giudiziale era stato integrato il contraddittorio con la citazione della madre delle parti, ed erano cessati anche eventuali impedimenti pratici, essendo la predetta deceduta nelle more del giudizio lasciando eredi le parti stesse.
Il motivo è fondato.
Non mancano, in verità, nella giurisprudenza di questa corte, pronunce orientate a ritenere che il legatario “ex lege”, in quanto investito sin dal momento dell’apertura della successione di un diritto reale pro-quota sul patrimonio del “de cuius”, che lo rende partecipe della comunione ereditaria, deve prendere parte necessariamente alla divisione del patrimonio stesso, sia che questa avvenga in via giudiziale (il che è pacifico), sia che venga definita in via contrattuale (cfr. Cass. Sez. II, 28 gennaio 1987, n. 794 ).
Tuttavia, il contrario orientamento, che pur si rinviene in giurisprudenza (Cass. Sez. II, 9 febbraio 1987, n. 1337 ), e al quale il collegio ritiene di doversi uniformare, appare fondato su più convincenti argomentazioni logico-giuridiche.
Va, invero, condiviso l’approccio seguito nella decisione citata che – nell’ambito del genere “comunione” – distingue poi una comunione in senso proprio o omogenea, circoscritta all’ipotesi in cui a ciascuno di coloro che vi partecipino spetti un diritto del medesimo tipo e del medesimo contenuto (cioè o solo diritti di proprietà, o solo diritti di usufrutto, e così via), da una comunione in senso improprio, che si verifica allorché – esemplificando – il proprietario partecipi al godimento della cosa per una determinata quota unitamente all’usufruttuario (nel qual caso sussisterebbe una comunione di usufrutto), ovvero quando su un medesimo bene concorrano nel medesimo tempo proprietà ed usufrutto, nel qual caso vi è un concorso di diritti reali di tipo differente.
Orbene, da questa premessa discende che alla divisione negoziale debbano partecipare tutti i soggetti che siano contitolari del diritto in comunione, e, cioè, tutti i proprietari se deve essere sciolta una comproprietà, ovvero tutti i titolari di altri diritti parziari se deve essere sciolta una di queste comunioni.
È intuitivo che nella divisione negoziale non possa essere pretermesso un partecipante alla comunione omogenea, perché solo se le volontà di tutti coloro che concorrono nel medesimo diritto convergono verso un unico progetto divisorio può prodursi l’effetto dello scioglimento della comunione pro-quota e della nascita di diritti individuali con oggetto più delimitato. Tuttavia, la necessità dei litisconsorzio assoluto sancito dall’art. 784 c.p.c. per lo scioglimento giudiziale delle comunioni non si estende necessariamente alla divisione contrattuale perché a questa non si attagliano le ragioni che giustificano la previsione normativa citata, tra cui, in particolare la possibilità che nel corso della divisione giudiziale insorgano questioni che devono essere risolte con sentenza, la cui attitudine al giudicato impone che le statuizioni in essa contenute siano pronunciate in contraddittorio con tutti i titolari degli interessi coinvolti, e cioè non soltanto con i titolari del medesimo diritto oggetto della comunione da sciogliere, ma anche con coloro che possano vantare un qualsiasi altro diritto reale incidente sul medesimo bene, o, addirittura, con coloro che abbiano un interesse alla conservazione del bene, tanto che l’art. 784 c.p.c. estende il contraddittorio ai creditori opponenti, la cui partecipazione non è certamente ipotizzabile ai fini della validità di un contratto divisionale esistendo altri mezzi di tutela a loro disposizione.
Deve pertanto escludersi la nullità della scrittura 17 maggio 1984, ritenuta dalla corte territoriale per la sola mancata partecipazione all’atto della usufruttuaria “ex lege”.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e omessa pronuncia, deducendo che la corte d’appello ha confermato la revoca del decreto ingiuntivo disposta dal tribunale, ma l’ha ancorata a motivi tutt’affatto diversi (e cioè la supposta nullità per lesione del litisconsorzio necessario) da quelli addotti dal primo giudice, il quale aveva rilevato il difetto di integrazione del contraddittorio e la originaria inidoneità dell’ordine di consegna per essere i beni nella disponibilità della madre.
Sostiene il ricorrente che la corte territoriale – attenendosi alla motivazione del giudice di primo grado – avrebbe dovuto rilevare che erano venuti meno in appello gli ostacoli ritenuti dal tribunale in seguito al decesso della usufruttuaria, mentre, al contrario, ha valorizzato il solo profilo della pretesa invalidità della scrittura divisionale posta a fondamento dell’ingiunzione, senza prendere in esame il motivo di appello proposto, così incorrendo nel vizio di omessa pronuncia.
Detto motivo è infondato, perché il ricorrente non ha di che dolersi del fatto che il giudice d’appello non abbia dato rilievo alla morte della madre di esso appellante intervenuta nelle more del giudizio di secondo grado. Invero, una volta esclusa la nullità del contratto per la mancata partecipazione all’atto dell’usufruttuaria “ex lege”, il compito che attendeva il tribunale, prima, e la corte poi – compito cui dovrà assolvere il giudice di rinvio – era quello di accertare se l’atto predetto avesse un contenuto di contratto definitivo di divisione (come sostiene l’odierno ricorrente), ovvero di mera bozza preparatoria – come sostiene il resistente. Rispetto all’indagine che doveva essere compiuta, la morte dell’usufruttuaria “ex lege” era del tutto ininfluente, sicché non può censurarsi la decisione impugnata per la omessa considerazione dell’evento.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia contraddittorietà della motivazione in punto pretesa novità della domanda, perché nel giudizio pendente davanti al tribunale di La Spezia esso convenuto aveva proposto in via riconvenzionale domanda divisionale del patrimonio mobiliare e tale domanda era stata ripetuta nel giudizio di appello; inoltre, osserva il ricorrente che nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, egli aveva chiesto la conferma del decreto e, quindi, la conferma della condanna di suo fratello a consegnare il lotto di beni mobili di sua pertinenza. Ne conclude il ricorrente che la domanda ritenuta nuova dalla corte di merito non era tale.
Il motivo è infondato.
Il ricorrente, costituendosi in primo grado, aveva svolto domanda riconvenzionale le cui conclusioni – pur menzionando in maniera confusa e ai fini della riunione delle due cause la necessità di dividere l’intero asse ereditario – si limitavano alla richiesta di “autenticazione della sottoscrizione”, così dimostrando di voler chiedere, sia pure in via subordinata, non già la divisione giudiziale, bensì l’accertamento della autenticità della sottoscrizione al fine di far valere la scrittura 17 maggio 1984 come contratto di divisione. Ne consegue che la corte d’appello ha correttamente considerato la domanda di divisione giudiziale, formulata in appello, come domanda nuova e, come tale, inammissibile.
In conclusione, quindi, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Genova che dovrà effettuare quell’esame della scrittura oggetto di causa, omesso dal giudice di appello, relativo al valore della stessa, indicata come contratto di divisione da una parte e come mera bozza preparatoria dall’altra.
Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia – anche per le spese – ad altra sezione della Corte d’Appello di Genova.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della IIª Sezione civile, il 3 giugno 2003.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 24 NOV. 2003