Cass. civ., Sez. II, Sent., (data ud. 10/03/1994) 10/03/1994, n. 2345
A seguito di un atto di diffida notificato il 15 aprile 1978 a Roberto De Giorgio (direttore di compagnia teatrale) e a Pier Giuseppe Corrado (regista) per sospendere l’esecuzione di due atti unici, “La corista” e “La strega”, programmati per il giorno successivo al teatro “Sala degli Intradossi” di Torino, Rotislav Hajek presentava il 29 aprile 1978 ricorso per il sequestro dei copioni ai sensi degli artt. 161 e 162 della legge sul diritto d’autore, chiedendo l’inibizione della rappresentazione.
Il Pretore di Torino, con decreto del 2 maggio 1978, ordinava l’immediato sequestro dei copioni e la sospensione della rappresentazione.
Nel giudizio di convalida veniva disposta la prova per testi e, alla fine, il tribunale di Torino, con sentenza del 30 novembre 1988, convalidava il sequestro, dichiarando che l’attività di De Giorgio, consistente nel deposito dei testi inediti dei due atti unici presso la SIAE, costituiva una violazione del diritto di paternità delle opere di Hajek, riconoscendo i copioni rappresentati come contraffatti. De Giorgio e Corrado venivano condannati al risarcimento dei danni.
Contro questa sentenza, De Giorgio e Corrado proponevano appello, sostenendo che le opere di Hajek non fossero tutelabili in base al diritto d’autore e che non ci fosse somiglianza tra le loro opere.
La Corte d’Appello di Torino, con sentenza del 27 marzo 1992, rigettava il ricorso, sottolineando che le opere di Hajek possedevano un carattere creativo e un’originalità tale da distinguerle dall’opera originale di Cechov. Inoltre, riteneva che le opere di De Giorgio fossero copie di quelle di Hajek, evidenziando somiglianze tra i testi, tra cui elementi che non erano presenti nell’opera di Cechov.
De Giorgio ha poi presentato ricorso per cassazione, sollevando tre motivi di impugnazione, mentre Hajek ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
- Primo motivo
Il ricorrente lamenta la falsa applicazione dell’art. 2577 c.c. e dell’art. 1 della legge 22 aprile 1941 n. 633 sul diritto d’autore. Sostiene che la Corte di Torino abbia errato nel ritenere che le opere di Hajek avessero carattere creativo, considerando erroneamente che si trattasse solo di bozze.
Il motivo è infondato. La legge tutela le opere derivate, come gli adattamenti e le modificazioni, purché mantengano un grado di originalità e autonomia. La Corte ha correttamente apprezzato il carattere creativo delle opere di Hajek, che erano già in una forma compiuta al momento della prova di recitazione e registrazione. - Secondo motivo
Il ricorrente contesta la violazione dell’art. 156 della legge sul diritto d’autore, sostenendo che la Corte abbia esaminato solo alcune battute e non l’intero testo, senza considerare le somiglianze presenti anche nell’opera originale di Cechov.
Il motivo è infondato. La Corte ha esaminato l’intero testo e ha ritenuto che le somiglianze fossero evidenti in tutta l’opera, non limitandosi alle battute iniziali. Inoltre, non rileva che un episodio fosse già presente nell’opera di Cechov, poiché la comparazione è stata fatta tra l’opera derivata di Hajek e quella di De Giorgio.
Conclusioni
Il ricorso per cassazione di De Giorgio è stato rigettato, confermando la sentenza della Corte d’Appello di Torino, che ha ritenuto che le opere di Hajek fossero creative, autonome e compiute, e che l’opera di De Giorgio fosse una contraffazione.
PROVA TESTIMONIALE CIVILE
Svolgimento del processo
A seguito di atto di diffida notificato il 15 aprile 1978 a Roberto De Giorgio (direttore di compagnia teatrale) e a Pier Giuseppe Corrado (regista) perché sospendessero l’esecuzione teatrale di due atti unici “La corista” e “La strega” programmati presso il teatro “Sala degli Intradossi di Torino per il giorno successivo, Rotislav Hajek in data 29.4.1978 proponeva ricorso per sequestro ai sensi degli artt. 161 e 162 L. dir. aut. dei copioni relativi ai lavori suddetti, con richiesta di inibitoria per l’effettuazione degli spettacoli.
Il Pretore di Torino con decreto del 2 maggio 1978 ordinava l’immediato sequestro dei copioni e la sospensione della rappresentazione.
Nel giudizio di convalida veniva disposta prova per testi e all’esito il tribunale di Torino, con sentenza del 30.11.1988, convalidato il sequestro, dichiarava che l’attività del De Giorgio, consistita nel deposito presso la SIAE del testo inedito dei due menzionati atti unici, costituiva violazione del diritto di paternità delle opere stesse spettante allo Hajek e che i copioni rappresentati nel teatro Sale degli Intradossi di Torino costituivano contraffazione delle omonime opere create dallo Hajek; dichiarava il De Giorgio e il Corrado responsabili della violazione del diritto di autore e del diritto di utilizzazione economica sulle opere stesse spettante allo Hajek e li condannava in solido al risarcimento dei danni, adottando poi tutti gli altri necessari provvedimenti conseguenziali.
Avverso tale sentenza il De Giorgio e il Corrado proponevano appello riproponendo le eccezioni sollevate in primo grado in ordine alla non tutelabilità dei lavori dello Hajek in base alle norme sul diritto di autore, all’inesistenza di un rapporto di identità o somiglianza tra le opere del De Giorgio e quello dello Hajek e alla dedotta anteriorità di queste ultime rispetto a quello del De Giorgio.
La Corte di Appello di Torino, con sentenza in data 27.3.1992, rigettava il gravame. Osservava la Corte, sotto il profilo della compiutezza dell’opera dell’ingegno e della sua autonoma e apprezzabile individualità, che i lavori dello Hajek possedevano il necessario carattere creativo e una sicura originalità e diversità rispetto all’opera (“I racconti” di Cechov) da cui erano stati tratti e dei quali costituivano elaborazione creativa, in forma dialogata con inserimenti di brani inediti di esclusiva ideazione di esso Hajek; e che il medesimo carattere creativo era da riconoscersi anche per la versione italiana (dopo la traduzione del ceco) nella quale l’opera era stata pubblicata e rappresentata. Riteneva ancora la Corte che, contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti, non poteva parlarsi di “bozza” o di “schema di copione per uso di prova di registrazione” perché il fatto stesso che l’opera “La Corista” (ma anche l’altra “La strega”) era stata rappresentata in casa dallo Hajek, registrata in cassetta e poi consegnata dall’autore alla redazione di un giornale (“La Gazzetta del popolo”) perché ne curasse la pubblicazione e la sottoponesse al vaglio della critica teatrale, dimostrata che si trattava di opera artistica che aveva raggiunto unità organica e compiutezza quale opera del teatro.
Quanto poi al Plagio, la Corte riteneva corretta la decisione del primo giudice il quale aveva ravvisato una evidente rassomiglianza fra il testo rappresentato dal De Giorgio e quello pubblicato dalla Hajek, anche per la presenza di spunti e di coincidenze assenti invece nell’opera originale del Cechov, e comunque di somiglianze che si colgono in tutta l’opera del De Giorgio, il quale aveva potuto conoscere il testo delle sue opere, in occasione delle prove eseguite di regia e dei contatti di lavoro con l’Hajek.
In ordine infine all’anteriorità delle opere dello Hajek rispetto a quello del De Giorgio, la Corte riteneva che il tribunale aveva valutato correttamente le risultanze della prova per testi, dando prevalenza alla deposizione della teste Regis, la quale era stata a lungo a fianco dello Hajek quale aiuto-regista; e che perciò doveva ritenersi dimostrato che lo Hajek aveva elaborato e redatto in lingua ceca (con un abbozzo di traduzione in lingua italiana) i copioni dei due atti unici già prima della data di deposito alla SIAE dei testi redatti dal De Giorgio.
Avverso questa sentenza il De Giorgio ha proposto ricorso per cassazione in base a tre motivi illustrati con memoria. Lo Hajek resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1 – Con il primo motivo il ricorrente deduce il vizio di falsa applicazione dell’art. 2577 cod. civ. e dell’art. 1 della L. 22.4.1941 n. 633 , recante norme in materia di diritto d’autore.
Sostiene il De Giorgio che, vertendosi nel caso di specie, in tema di elaborazione di opera letteraria, non qualsiasi rifacimento dell’opera originale, pur se contenga elementi di originalità dovuti alla personale elaborazione del suo autore, costituisce opera dell’ingegno tutelabile in base alla legge su richiamata, essendo necessario a tal fine che l’elaborazione abbia carattere creativo e si sia estrinsecata in una realizzazione organica e soprattutto compiuta. Tali caratteri sono stati erroneamente ravvisati dalla Corte di Torino nel caso di specie, in cui lo sforzo creativo dello Hajek aveva dato vita ad una bozza e cioé ad uno schema di copione parziale e provvisorio, da utilizzare come studio di impostazione registica e come canovaccio suscettibile di continui adattamenti e modifiche, come tale privo di una propria autonomia finita. Sostiene ancora il ricorrente che la Corte di merito, pressoché ignorando tali circostanze emerse nel processo, ha finito per dare esclusivo rilievo, anche ai fini del giudizio circa la compiutezza delle elaborazioni del Hajek, al fatto che le due opere “La corista” e “La strega” (tratte da due racconti di Cechov aventi i medesimi titoli) erano state oggetto di una prova di attori in casa dello Hajek e che di tale prova era stata effettuata una registrazione. Così argomentando però, sempre secondo il De Giorgio, la sentenza impugnata ha operato un vero capovolgimento concettuale, poiché solo dopo aver verificato la compiutezza dell’opera poteva attribuirsi un qualsiasi significato alla prova di recitazione e alla registrazione: poste infatti le particolari modalità con le quali tale rappresentazione ebbe luogo, per di più in un’abitazione privata e senza pubblico, è del tutto arbitrario attribuire ad essa il valore di prova circa la completezza dell’opera; tanto più che le risultanze della prova testimoniale avevano confermato che si trattava di un materiale frammentario, allo stato magmatico, certamente non qualificabile come elaborazione per mancanza di un compiuto testo scritto.
Il motivo è infondato.
La elaborazione di opere dell’ingegno preesistenti sono protette, come è noto, in modo autonomo (art. 4 e 18 L. d.a. ), a condizione che abbiano carattere creativo, anche rispetto all’opera originaria.
In particolare, dono comprese nella tutela la trasformazione da una in altra forma letteraria od artistica, gli adattamenti, le riduzioni e le modificazioni ed aggiunte che costituiscano un rifacimento sostanziale dell’opera originaria. L’opera derivata deve perciò possedere un grado di originalità e di individualità che valga a differenziarla dall’opera oggetto di una di tali forme di elaborazione creativa, così da assumere una propria autonomia, pur se il grado di creatività risulti poi in concreto minimo e inferiore rispetto a quello dell’opera originaria. Deve poi possedere – al pari di qualsiasi opera dell’ingegno offerta alla comunicazione – carattere di compiutezza, essere cioé definita e completa quale opera derivata nella forma espressiva prescelta. Ciò del resto al pari dell’opera preesistente alla quale si è ispirata e sulla quale ha operato, rielaborandola.
Un’ipotesi frequenti di elaborazione di opera letteraria preesistente è quella della sua riduzione (adattamento) per il teatro. La trasformazione in opera del teatro, in forma cioé essenzialmente dialogata, con mutamento della forma espressiva dell’opera originaria, è solitamente affidata ad un testo scritto (copione teatrale), che è forma idonea sia alla pubblicazione a mezzo stampa (per la lettura) sia della rappresentazione (mediante recitazione affidata ad attori). Conseguiti i caratteri dell’opera dell’ingegno autonomamente protetta (rispetto all’opera rielaborata), l’opera derivata teatrale è suscettibile di interventi successivi, ma non coessenziali, in sede di allestimento della rappresentazione, da parte di altri collaboratori dell’autore, o dell’autore medesimo (in nuova veste). Aspetti ancora distinti sono quelli che possono evidenziarsi con l’utilizzazione dell’opera a mezzo di registrazioni audiovisive, che costituiscono comunque anche mezzi di documentazione dell’elaborato creativo, quando questo sia pervenuto alla fase della compiutezza.
L’accertamento se l’elaborazione, come opera dell’ingegno (derivata) abbia carattere originale e comunque creativo e se essa abbia acquisito autonoma fisionomia e compiutezza, rispetto all’opera preesistente, è ovviamente rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, insindacabile quando risulti assistito da motivazione congrua ed esente da vizi logici e giuridici. Compete parimenti al giudice di merito accertare, ai fini della tutela del diritto morale e di utilizzazione economica spettante all’autore – nel caso in cui si sostenga che la rappresentazione dell’opera teatrale derivata, curata dallo stesso autore, costituisce lavoro di regia sull’opera originaria e non elaborazione creativa autonomamente protetta – che un testo teatrale effettivamente preesista e non si tratti di opera (derivata) in formazione o di una mera idea di adattamento teatrale di un’opera letteraria non ancora elaborata per il teatro. E ciò sulla base della chiara differenza che deve ravvisarsi da un lato, tra opera preesistente e sua elaborazione in forma teatrale e, dall’altra, tra quest’ultima e gli interventi di regia, o interpretativi, o di allestimento scenico che successivamente dovessero intervenire sull’opera compiuta.
Tali principi giuridici sono stati correttamente applicati dalla Corte di Torino, che ha anche effettuato l’accertamento di fatto ora ricordato ed ha ritenuto che prima della rappresentazione privata in casa dello Hajek, la quale costituì prova di recitazione dei due atti unici (nel testo italiano derivato dalla traduzione dell’originale in cecoslovacco, all’epoca ancora non messa completamente a punto), le opere di cui è causa – sia quella tratta dal racconto “La Corista”, sia quella tratta dal racconto “La strega”, entrambi di Cechov – avevano avuto già una compiuta stesura in lingua cecoslovacca, in un testo che costituiva rifacimento sostanziale dell’opera letteraria di Cechov ed elaborazione in forma teatrale; ed anche la traduzione italiana di tale testo, sia pure in versione ancora da rifinire, era già pronta al momento della prova di recitazione e della registrazione. Al riguardo, motivazione esauriente e diffusa si rinviene nella sentenza impugnata là dove, in base ai risultati della prova testimoniale, si riportano le vicende relative alla detta rappresentazione e si ritiene provata con sicurezza l’anteriorità dell’opera dello Hajek rispetto a quella contraffatta, messa in scena al Teatro degli Intradossi dal De Giorgio, oggetto del provvedimento cautelare. Il ricorrente mostra invece di ignorare il giudizio di fatto espresso dalla Corte e sostiene che l’opera teatrale ebbe vita solo con la rappresentazione e in forma provvisoria, così che il testo registrato in tale occasione costituiva una semplice prova di recitazione e quello scritto mei appunti di regia annotati in modo estemporaneo e in forma incompiuta. In tal modo egli però, enunciando principi giuridici esatti ma privi di aderenza al caso di specie, finisce per proporre una inammissibile rivalutazione delle risultanze di fatto e delle conclusioni cui la Corte di merito è pervenuta, con giudizio qui non sindacabile perché logicamente e correttamente motivato; per di più facendo riferimento solo alla fase della rappresentazione dell’opera teatrale, nella quale (secondo quanto ha ritenuto la corte) egli era venuto a conoscenza del lavoro dello Hajek ed aveva avuto così la possibilità di preparare la contraffazione, e senza considerare che dalla prova orale come valutata dai giudici di merito era emerso che già esisteva un testo in lingua ceca in forma dialogata, con aggiunta di numerosi brani inediti di esclusiva ideazione dello Hajek, In tale quadro pertanto le prove di recitazione e di regia, i bigliettini scambiati tra lo Hajek e il De Giorgio – vicende attinenti alla fase dell’allestimento del lavoro e della comunicazione al pubblico – così come la registrazione in cassetta e l’invio di questa al giornale per la pubblicazione del testo e per la critica teatrale – vicende attinenti alla pubblicazione e utilizzazione dell’opera dell’ingegno – rappresentano fatti ulteriori e successivi alla nascita del lavoro di adattamento teatrale dei due racconti di Cechov già in precedenza completato dall’attuale controricorrente. Perde quindi di rilevanza, e comunque non è esatto, quanto si assume dal De Giorgio in memoria, che cioé solo uno dei due lavori sarebbe stato rappresentato e registrato, poiché l’accertamento di preesistenza riguarda entrambi gli atti unici e la nascita dell’opera compiuta, non è riferibile, come si è detto, alla fase della rappresentazione.
2 – Infondato è anche il secondo motivo di ricorso, con il quale si denunzia la violazione dell’art. 156 L.d.a. Il De Giorgio sostiene che la Corte di Appello ha ravvisato somiglianza evidente, e perciò plagio, tra il testo dell’opera teatrale dello Hajek, e quello del lavoro messo in scena da esso ricorrente, sulla base dell’esame di poche battute e senza neppure avvedersi che le significative coincidenze individuate figuravano anche nell’opera originaria di Cechov (come nell’episodio de “La Strega”, in cui si descrive la scena in cui un personaggio femminile stava cucendo sacchi di rozza canapa). Inoltre ingiustificatamente la Corte territoriale ha omesso di effettuare un’analisi completa dei due copioni, tenuto conto del fatto che l’accertamento del plagio ha ad oggetto la riconoscibilità di un procedimento creativo soggettivo e che assumono rilevanza vari altri elementi (cadenza e stile della narrazione, modo di svolgimento dei singoli episodi, ecc.) che debbono essere controllati nelle due opere a raffronto. Osserva ancora il ricorrente che di fronte ad un contenuto letterario dell’opera preesistente di un determinato autore è possibile che le rielaborazioni di più autori diversi finiscono per assomigliarsi notevolmente specie quando la fonte letteraria divenga punto di riferimento anche per il contesto socio-culturale e linguistico dell’autore predetto, cosicché il raffronto tra le due opere per l’accertamento del plagio non può limitarsi ad un riscontro di analogie di contenuti ma deve tener conto di tutti quegli elementi che non siano predeterminati dalla fonte, specie se si considera che, se unico e uniforme era il contenuto del testo letterario cui i lavori in comparazione si erano ispirati, assumeva rilevanza essenziale la forma con la quale il contenuto era stato espresso nei due testi. Una simile indagine non è stata effettuata dalla Corte di Torino ed è per tale ragione che non si sono evidenziate le sensibili differenze di stile, il diverso modo di strutturale i dialoghi, la diversa scansione ritmica del testo nelle due opere.
Osserva infine il ricorrente che il plagio comunque è ipotizzabile solo rispetto ad un’opera compiuta, come appropriazione dell’idea originale che in essa è sviluppata, cosicché non era configurabile in una specie in cui, secondo la Corte, vi era stato tra esso De Giorgio e lo Hajek solo uno scambio di bigliettini con appunti di regia e qualche conversazione, nell’ambito di un rapporto professionale che avrebbe visto esso De Giorgio in veste di autore e adattatore e lo Hajek (che tale qualifica aveva presso il teatro nazionale di Praga) in quella di regista.
Tutte tali censure attengono chiaramente alla valutazione di merito operata dalla Corte di Torino e risultano comunque inapplicabili nella presente controversia, pur se talune di esse potrebbero sembrare – ma solo in astratto – corrette giuridicamente.
Non è esatto in primo luogo che il raffronto tra i due testi sia stato operato solo sulla base di poche battute e per di più senza avvedersi (episodio della “cucitura dei sacchi”) che anche il testo dell’opera rielaborata faceva menzione del riferimento, comunque nei due copioni, al detto episodio. La Corte ha invece esaminato l’intero testo delle due opere a raffronto e, integrando l’avviso espresso già dal tribunale, ha ritenuto che le inequivoche somiglianze si rinvengano in tutta l’opera e non soltanto nelle battute iniziali.
Né rileva il fatto che, a proposito dell’episodio sulla “cucitura dei sacchi”, il raffronto non è stato esteso anche all’opera originaria, in cui l’episodio già era presente. Va infatti osservato che quando, come nella specie, non sia in discussione il carattere creativo dell’elaborazione e quindi la sua autonomia rispetto all’opera originaria di altro autore e quando l’accertamento sull’esistenza del plagio-contraffazione verta non rispetto all’opera preesistente ma rispetto all’opera derivata che di essa costituisce elaborazione creativa, protetta dalla legge sul diritto di autore per la sua compiutezza creativa e anteriorità, la presenza in questa di riferimenti legittimi all’opera rielaborata diventa elemento caratterizzante anche dell’opera di elaborazione creativa e quindi elemento suscettibile di valutazione in sede di comparazione con l’opera denunziata di plagio, nella quale il richiamo può risultare non solo riflesso e di secondo grado ma anche rivelatore della contraffazione, in un contesto che non consenta di riconoscere originalità e carattere creativo.
La Corte territoriale ha poi escluso – e sul punto non vi è impugnazione – anche l’ipotizzabilità di un incontro fortuito (e cioé i due autori fossero pervenuti alla redazione dei rispettivi testi l’uno all’insaputa dell’altro); ed ha infine opinato che il De Giorgio, frequentando lo Hajek (episodio dell’abituale passaggio di bigliettini, con i quali quest’ultimo esternava le sue idee sui ricordati due racconti di Cechov) ed avendo con lui conversazioni in merito al lavoro in questione, aveva avuto la disponibilità del copione predisposto dall’attuale controricorrente. Non è quindi proponibile (una volta escluso l’incontro fortuito) l’argomento del comune richiamo alla medesima fonte letteraria poiché secondo l’interpretazione di merito fatta dalla Corte di Torino, incensurabile in questa sede perché logicamente e correttamente motivata, in effetti il testo dello Hajek era già pronto prima ancora della rappresentazione privata dell’opera e della sua registrazione in cassetta, cosicché il raffronto andava fatto con tale opera ormai compiuta e non più con il testo originale dell’opera di Cechov, rispetto alla quale l’elaborazione curata dallo Hajek aveva ormai un indiscusso carattere creativo e autonomo. Improponibili erano perciò anche i riscontri indicati dal ricorrente circa lo stile, la struttura dei dialoghi ecc., tra l’opera di elaborazione creative di cui lo Hajek era autore e la contraffazione di essa addebitata al De Giorgio.
La anteriorità e la compiutezza dell’opera dello Hajek, già sopra rilevata, impedisce poi di prendere in considerazione l’ultimo argomento esposto dal ricorrente circa l’impossibilità di plagiare una semplice idea non sviluppata di elaborazione, tradotta in appunti di regia che lo Hajek aveva annotato in previsione dell’allestimento di un lavoro del quale il De Giorgio sarebbe stato autore o adattatore e lo Hajek (che tale professione svolgeva in Cecoslovacchia) regista.
3 – Con il terzo motivo di ricorso infine si denuncia il vizio di motivazione insufficiente e contraddittoria a proposito della pretesa anteriorità dell’opera dello Hajek rispetto a quella di esso De Giorgio.
Sostiene il ricorrente che la Corte è pervenuta a tale conclusione in base alle sole affermazioni – in sé contraddittorie – della teste Regis, ignorando le numerose altre deposizioni testimoniali di segno contrario, dalle quali risulterebbe dimostrato che invece il testo teatrale curato da esso De Giorgio preesisteva a quello suppostamente redatto dallo Hajek, limitatosi invece a preparare soltanto appunti di regia.
La doglianza è chiaramente inammissibile in quanto attiene alla valutazione del materiale probatorio operata dal giudice di merito e non alla motivazione che in proposito si legge nella sentenza impugnata. L’analisi fatta dalla Corte di Appello circa l’attendibilità della teste Regis, per rispondere alle medesime censure formulate contro la conforme valutazione fatta dal tribunale, risulta ampia e circostanziata sia quando si è controllata la fonte delle notizie di cui la Regis era a conoscenza, sia quando si è valutato il contenuto delle sue dichiarazioni, anche in rapporto a quanto risultava dalle altre disposizioni testimoniali, ritenute inattendibili o scarsamente significative.
Il ricorso, infondato in tutti i suoi motivi, va quindi rigettato. Segue, per il principio della soccombenza, la condanna del De Giorgio alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio, liquidate in L. 135.000, oltre L. 2.000.000 di onorario.
Roma, 17.6.1993.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 10 MARZO 1994