Contesto e tematiche giuridiche

La sentenza si inserisce nell’ambito della tutela delle Denominazioni di Origine Protetta (DOP) e della normativa applicabile alle sanzioni amministrative derivanti dalla violazione delle regole di protezione. Il caso coinvolge la società F.lli Pinna Industria Casearia S.p.A. che, per il formaggio denominato “Pastore del Tirso”, è stata sanzionata per un presunto richiamo ingannevole alla DOP “Pecorino Sardo”.

La Corte analizza principalmente tre aspetti:

  1. La confondibilità del marchio “Pastore del Tirso” con la DOP “Pecorino Sardo”, basata su elementi grafici, visivi e concettuali.
  2. La rilevanza della tutela comunitaria per le DOP e il principio di protezione contro usurpazioni, imitazioni ed evocazioni.
  3. La valutazione delle eccezioni procedurali avanzate dalla ricorrente.

Esame dei motivi del ricorso

Primo motivo: motivazione apparente della sentenza d’appello
  • La società ricorrente ha sostenuto che la sentenza d’appello fosse viziata da una motivazione apparente, limitandosi a riprodurre precedenti pronunce senza esaminare adeguatamente le ragioni dell’opponente.
  • Decisione della Cassazione: La Corte ha rigettato il motivo, ritenendo che la sentenza d’appello soddisfi il requisito del minimo costituzionale della motivazione. La Corte ha chiarito che l’utilizzo di precedenti specifici come riferimento è legittimo, purché sia chiara l’adesione del giudice d’appello alle conclusioni precedenti.
Secondo e terzo motivo: violazione delle norme sulla protezione delle DOP
  • La ricorrente ha contestato:
    1. Che la tutela DOP si estendesse anche al caso del suo formaggio, prodotto effettivamente in Sardegna e con latte di pecora locale.
    2. Che la combinazione dei termini “pecorino” e “sardo” fosse lecita, considerando che “pecorino” non è tutelato come denominazione esclusiva e che è legittimo indicare l’origine geografica del prodotto.
  • Decisione della Cassazione: I motivi sono stati rigettati. La Corte ha rilevato che:
    • La valutazione globale dei segni distintivi (visivi, fonetici, grafici e concettuali) del formaggio “Pastore del Tirso” induce una confondibilità con la DOP “Pecorino Sardo”, creando il rischio che il consumatore medio associ erroneamente i prodotti.
    • L’utilizzo del termine “sardo”, accompagnato da simboli come il costume tradizionale, il gregge, il nuraghe e lo stemma dei Quattro Mori, costituisce una evocazione indebita della DOP, in violazione dell’art. 13 del Reg. CE 510/2006.
    • L’origine territoriale (Sardegna) non legittima l’utilizzo di elementi che possano generare confusione con una DOP, soprattutto se i prodotti sono simili.

Principi di diritto rilevanti

  1. Tutela delle DOP contro evocazioni indebite: L’art. 13 del Reg. CE 510/2006 protegge le denominazioni registrate da qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione. Anche l’utilizzo indiretto di simboli grafici o riferimenti concettuali può violare tale protezione.
  2. Somiglianza concettuale: Seguendo la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (es. caso Parmesan), è sufficiente che vi sia una somiglianza concettuale tra un prodotto generico e una DOP per configurare una violazione, indipendentemente dall’effettiva composizione del prodotto o dall’origine geografica.
  3. Limiti alla confondibilità in sede di legittimità: La valutazione sulla confondibilità tra segni distintivi è un giudizio di fatto non censurabile per violazione di legge in sede di legittimità, salvo casi di manifesta illogicità.

Valutazioni critiche

  • Rigore nell’applicazione delle norme DOP: La sentenza ribadisce la severità della tutela attribuita alle DOP, a salvaguardia del consumatore e degli operatori che rispettano gli standard richiesti. L’interpretazione estensiva della “evocazione” riflette l’evoluzione giurisprudenziale europea.
  • Criticità nella difesa della ricorrente: La F.lli Pinna non ha dimostrato in modo convincente l’assenza di confondibilità, concentrandosi sull’origine del prodotto senza affrontare la percezione del consumatore medio, che è il criterio centrale nella valutazione.

Implicazioni

La decisione:

  • Consolida i principi giurisprudenziali sulla protezione delle DOP.
  • Rappresenta un monito per i produttori agroalimentari sull’importanza di evitare qualsiasi associazione indebita con una DOP, anche tramite simboli grafici o termini evocativi.

Conclusione

La Cassazione ha rigettato il ricorso principale, confermando la legittimità della sanzione amministrativa. Le spese di giudizio sono state poste a carico della società ricorrente. La sentenza evidenzia il valore delle DOP nel sistema agroalimentare europeo e l’importanza di garantire una chiara distinzione tra prodotti generici e quelli protetti.

MARCHI› In genere

Svolgimento del processo

1. con ricorso notificato il 22/09/2015, la F.lli A.A. Industria Casearia Spa (“F.lli Pinna”) ha proposto opposizione, dinanzi al Tribunale delle imprese di Cagliari, avverso l’ordinanza n. 590 del 2015, con cui il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali – Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione delle frodi dei prodotti agroalimentari (“Ministero delle Politiche Agricole”) le ingiungeva il pagamento di Euro 2.000,00, a titolo di sanzione amministrativa per la violazione dell’art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 279 del 2004, per avere, quale produttore, posto in commercio una forma di formaggio pecorino denominato “Pastore del Tirso”, la cui etichetta recava la dicitura “Pastore del Tirso – F.lli Pinna Sapere Sardo – Formaggio Pecorino da Tavola -“, evocativa della DOP “Pecorino Sardo”;

2. il Tribunale delle Imprese di Cagliari, con sentenza n. 3598 del 2017, ha rigettato l’opposizione.

Sull’impugnazione della F.lli Pinna, la Corte d’Appello di Cagliari, nel contraddittorio del Ministero delle Politiche Agricole, ha respinto l’appello e ha confermato la sentenza di primo grado.

A giudizio della Corte territoriale, al contrario di quanto sostenuto dalla società appellante, rispetto alla tutela accordata dall’art. 13  regolamento CE n. 510/2006 , è inconferente, ai fini della configurabilità dell’illecito, che il formaggio in questione sia realizzato con l’impiego del latte di pecora prodotto in Sardegna. Ciò che rileva, spiega la Corte di Cagliari, è la scelta del produttore di inserire nell’etichetta il termine “sardo”, che costituisce la denominazione d’origine della DOP “Pecorino sardo”, (cfr. pag. 5 della sentenza)

“quale termine che serve a designarlo tramite il collegamento con la regione di produzione, che ne determina le caratteristiche e le peculiarità che lo rendono una DOP… L’accostamento, pressoché con i medesimi caratteri ed evidenziata con il colore verde (lo stesso del marchio DOP), dell’aggettivazione geografica sardo (facente parte del marchio della società F.lli Pinna) con l’espressione generica formaggio pecorino da tavola, determina un’immediata associazione concettuale con il pecorino sardo DOP”.

In definitiva, così la sentenza a pag. 7, “l’inserimento, del termine “sardo” nella denominazione generica del formaggio pecorino, richiamata anche visivamente tramite la raffigurazione nell’etichetta di un uomo in costume sardo accanto ad un gregge, sullo sfondo di un nuraghe e lo stemma dei Quattro Mori, (è) idoneo a indurre il consumatore medio, normalmente informato, ragionevolmente attento e avveduto (al quale si deve fare riferimento, come indicato nelle decisioni della Corte di Giustizia) ad associare concettualmente e visivamente il prodotto generico dello stesso tipo (formaggio pecorino) alla DOP e, conseguentemente, a ingenerare nel consumatore stesso l’erroneo convincimento che il prodotto etichettato come “Pastore del Tirso – F.lli Pinna – sapere sardo – formaggio pecorino” abbia le medesime caratteristiche di quello portante il marchio DOP”;

3. la F.lli Pinna ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche da memoria.

Il Ministero delle Politiche Agricole ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1. il primo motivo di ricorso, ai sensi degli artt. 132 , comma 2, n. 4, c.p.c. , 360 n. 4, c.p.c. , denuncia la motivazione apparente nella sentenza impugnata, non indicando le ragioni per le quali ha disatteso l’eccezione della F.lli Pinna di nullità della decisione di primo grado, che si era limitata a ricopiare una precedente pronuncia (la sentenza n. 193 del 2016) del medesimo Tribunale, e nemmeno si confronta con l’eccezione dell’appellante di ultrapetizione della sentenza di primo grado che, riproducendo l’intero testo della sentenza n. 193 del 2016, decide circa l’eccezione di “preuso”, mai formulata dall’opponente in questo giudizio;

2. il secondo motivo – “violazione e falsa interpretazione dell’art. 13  Regolamento CE 510/2006 , ora art. 13  Reg. CE 1151/2012 , e art. 2  c. 2 D.Lgs. 297/2004  in relazione all’art. 360  n. 3 c.p.c.” – censura la sentenza impugnata che reputa inconferente, ai fini della configurabilità dell’illecito, la circostanza che il formaggio Pastore del Tirso sia effettivamente ottenuto con l’impiego di latte di pecora e sia prodotto in Sardegna;

3. il terzo motivo – “violazione art. 2  c. 2 D.Lgs. 297/2004  nonché degli artt. 13  reg. CE 510/2006  in relazione all’art. 360  n. 3 c.p.c.” -censura la sentenza impugnata nella parte in cui ravvisa la sussistenza dell’illecito per la coesistenza delle parole “pecorino” e “sardo”, benché la norma di riferimento (art. 13, lett. b, cit.) specifichi che il termine “pecorino” non è tutelato e che il produttore può sempre indicare l’origine territoriale del proprio prodotto;

4. il primo motivo è infondato;

la sentenza d’appello non è nulla per carenza strutturale della motivazione; al contrario, essa reca una motivazione chiara e sintetica che soddisfa senz’altro il requisito del “minimo costituzionale”, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34476 , la quale cita, in motivazione, Cass. , Sez. Un. , 07/04/2014, n. 8053 ; Cass. , Sez. Un. , 18/04/2018, n. 9558 ; Cass. , Sez. Un. , 31/12/2018, n. 33679 ) per la quale “nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12  delle preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione”.

La Corte di Cagliari respinge l’eccezione dell’appellante di difetto di motivazione della sentenza di primo grado sul rilievo che tale ultima decisione, senza incorrere nell’eccepita mancanza di esame delle ragioni dell’opponente, ha condiviso un precedente specifico del medesimo Tribunale, che disattendeva l’opposizione proposta dalla F.lli Pinna contro una sanzione amministrativa per i medesimi addebiti.

Si aggiunga che – a prescindere dalla prospettabile inammissibilità della critica, per mancanza di autosufficienza – deve ritenersi implicitamente disattesa, da parte del giudice d’appello, la doglianza della F.lli Pinna in punto di ultrapetizione della decisione di primo grado;

5. il secondo e il terzo motivo, suscettibili di esame congiunto per connessione, sono infondati;

5.1. il Pecorino Sardo ha conseguito il riconoscimento comunitario della DOP (Denominazione di Origine Protetta) con Regolamento CE n. 1263/96 del 1/07/1996.

L’art. 13  (“Protezione”), del Regolamento CE n. 510/2006 , applicabile ratione temporis, stabilisce che “1. Le denominazioni registrate sono tutelate contro:…) b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione(…)”.

In relazione al secondo motivo di ricorso, è conforme a diritto l’affermazione della Corte territoriale che svaluta la circostanza che il formaggio Pastore del Tirso sia ottenuto con l’impiego di latte di pecora prodotto in Sardegna.

Diversamente da quanto afferma la ricorrente, il conflitto tra segni (ad esempio, DOP e marchio) si pone quando i prodotti che essi contraddistinguono sono dello stesso tipo o sono, comunque, affini e similari.

A tal proposito va richiamato il precedente di questa Corte (Cass. Sez. 1, n. 7937/2023 ) riguardante una controversia nella quale è stata respinta la domanda giudiziale del Consorzio per la tutela del Formaggio Pecorino Romano, essendo rimasta indimostrata l’appartenenza alla stessa tipologia di prodotti caseari della DOP “Pecorino Romano” e del marchio ritenuto in conflitto “Cacio Romano”;

5.2. da una diversa angolazione giuridica, in relazione al terzo motivo, osserva la Corte che non è vero che, come sostiene la ricorrente, la sentenza impugnata non ha bene interpretato l’art. 13, lett. b), cit. , e non ha compreso che la tutela della DOP non riguarda la parola “pecorino” e che, quanto all’aggettivo “sardo”, al produttore di formaggi è consentito indicare l’origine territoriale del proprio prodotto.

La Corte distrettuale pone a confronto il formaggio “Pastore del Tirso” e la DOP “Pecorino Sardo” e, alla stregua di una valutazione globale, che comprende il profilo visivo, grafico, fonetico e concettuale, ritiene che la somiglianza tra il prodotto della società ricorrente e la DOP sia tale da determinare un rischio di confusione tra i due segni e che sia idonea a ingenerare nel consumatore l’erroneo convincimento che l’alimento etichettato come “Pastore del Tirso – F.lli Pinna – sapere sardo – formaggio pecorino” abbia le medesime caratteristiche di quello con il marchio DOP.

La rilevanza attribuita dalla Corte territoriale all’aspetto dell'”associazione concettuale” (tra i due prodotti caseari) segue la scia della giurisprudenza unionale e di legittimità.

Infatti, la Corte di Giustizia UE, con sentenza 26/02/2008, in C. 132/05 , nella controversia tra la DOP “Parmigiano Reggiano” e il “Parmesan”, ha introdotto la nozione di “somiglianza concettuale”, successivamente utilizzata a più riprese dalla giurisprudenza eurounitaria e nazionale.

In particolare, la locuzione è stata ribadita da questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 27194 del 23/10/2019, Rv. 655770 – 02), che, in controversia simile a quella in esame perché relativa anch’essa a prodotti caseari, ha sottolineato (punto 3.4.) come “l’uso della dicitura “Altopiano di Asiago” evochi… la D.O.P. “Asiago”, in violazione del disposto di cui all’art. 2 , comma 2, del D.Lgs. n. 297 del 2004  e dell’art. 13 , comma i, lett. b) del Regolamento CE n. 510 del 2006 . È, per vero, evidente che siffatta locuzione presenta tutte le caratteristiche evidenziate dalla giurisprudenza europea idonee ad integrare la nozione di “evocazione”, sussistendo: a) la “parziale incorporazione” della denominazione protetta “Asiago” nella contestata espressione “Altopiano di Asiago”; b) la “similarità fonetica e/o visiva”, vertendosi nel caso concreto… in una fattispecie in cui non si è in presenza neppure di un nome imitato, contraffatto o storpiato, come “parmesan” o “cambozola”, con riferimento ai quali pure la Corte di Lussemburgo ha ritenuto sussistere Revocazione”, ma di una pedissequa riproduzione del termine “Asiago”, con la sola aggiunta del sostantivo “Altopiano”, certamente idoneo ad evocare nella mente del consumatore medio, in special modo in una zona dove tale produzione è molto diffusa, il noto formaggio Asiago; c) la “somiglianza concettuale”, trattandosi del medesimo prodotto lattiero caseario, proveniente dalla medesima zona di produzione”;

5.3. da ultimo, è utile rammentare il consueto indirizzo nomofilattico (tra le altre, Cass. nn. 2581/2024 , 39764/2021 , 6382/2017 ), per il quale l’apprezzamento sulla confondibilità dei segni non è censurabile, per violazione di legge, in sede di legittimità, dando luogo ad un giudizio di fatto;

6. in conclusione, il ricorso va rigettato;

7. le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

8. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 – bis del citato art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.500,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13 , comma 1 – quater, del D.P.R. n. 115/2002 , dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 – bis del citato art. 13, se dovuto.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 21 maggio 2024.

Depositato in cancelleria il 26 luglio 2024.

Studio Daplex

Lo studio