In tema, degna di nota è la sentenza del Tribunale di Forlì, 23 settembre 2021, n. 962, che ha accolto la domanda risarcitoria avanzata da una vittima di atti di bullismo nei confronti del proprio aggressore e dei suoi complici per le condotte di percosse, minacce, offese, sottrazione del cellulare, intimidazioni e costrizioni in genere subite.
La vicenda vede protagonista un ragazzo affetto dalla nascita da fragilità di tipo psichico che viene invitato da un “amico”, anch’egli minorenne, presso la propria abitazione. Sul posto, erano presenti anche altri due “amici”. Con il pretesto di giocare insieme con i videogiochi, il branco ha iniziato a perpetrare le violenze e le vessazioni ai danni dell’attore. Concretamente, il ragazzo affetto da fragilità è stato costretto dal bullo a fare una doccia fredda completamente vestito, è stato violentemente percosso con un pugno al volto e con calci, intimidito e offeso con frasi minatorie come “io ti farò sparire dalla faccia della terra”, minacciato con un coltello e con frasi come “io ti ammazzo”, Inoltre gli è stato sottratto il cellulare per mandare un messaggio volgare e offensivo a una sua cara amica, con la chiara intenzione di isolare e compromettere il rapporto affettivo del ragazzo.
A seguito di tale episodio, la vittima iniziava a presentare comportamenti strani ed il suo stato psicofisico peggiorava rapidamente, mettendo in mostra evidenti difficoltà comportamentali e relazionali.
Veniva, pertanto, incardinato un processo dinanzi al Tribunale per i minorenni e, successivamente, lo stesso giovane, divenuto maggiorenne, adiva in sede civile le vie legali nei confronti dei tre aggressori, avanzando domanda di risarcimento per i danni subiti.
Effettuata la relazione neuropsichiatrica, sul ragazzo vittima di bullismo veniva rilevata la sussistenza del danno non patrimoniale di tipo psichico patito in conseguenza della vicenda.
Il Giudice adito concludeva nel rilevare che: “tali comportamenti, subiti dall’attore in quella occasione, qualificabili nel loro complesso come “atti di bullismo” e singolarmente quali minacce, percosse, atti di violenza privata e ingiurie, costituiscono illeciti, anche penalmente rilevanti, e certamente suscettibili di fondare una responsabilità risarcitoria anche in ambito civilistico, ex art. 2043 c.c. e 2059 c.c..”
Restava, però da chiarire la posizione di tutti convenuti in relazione alla loro potenziale quota di responsabilità da attribuirsi in base al contributo effettivamente dato nel perpetrare tali atti.
Era emerso infatti che gli atti di percosse, minacce e ingiuria erano stati commessi essenzialmente e sostanzialmente dall’ ”amico” che aveva invitato la vittima a casa sua, mentre, per gli altri due “amici” era emerso che né l’uno né l’altro avevano picchiato o offeso l’attore. Circostanza questa parzialmente riconosciuta dalla stessa vittima con l’affermazione: “gli altri due non hanno percosso”. Del resto, entrambi avevano sostenuto la propria sostanziale estraneità ai fatti di causa.
Sul punto, il Tribunale, sulla scorta dei precedenti Giurisprudenziali, conformemente riteneva: “la presenza fisica allo svolgimento dei fatti integra un’ipotesi di concorso morale penalmente rilevante qualora si attui in modo da realizzare un rafforzamento del proposito dell’autore materiale del reato e da agevolare la sua opera, sempre che il concorrente si sia rappresentato l’evento del reato ed abbia partecipato ad esso esprimendo una volontà criminosa uguale a quella dell’autore materiale” (Cass. pen. Sez. 2, Sentenza n. 28855 del 08/05/2013)”; del resto, “la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo causale alla realizzazione del reato, mentre il secondo richiede un consapevole contributo positivo – morale o materiale – all’altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente” (Cass. Pen. Sez. 3, Sentenza n. 34985 del 16/07/2015 Ud. (dep. 20/08/2015) Rv. 264454 – 01)”.
Pertanto, nel caso di specie, date le circostanze emerse nell’ambito del processo idonee a circostanziare le singole condotte conducenti agli illeciti perpetrati: “la percezione dell’attore, di una aggressione perpetrata da un gruppo, e non da un singolo individuo alla presenza di altri, appare significativa di come le rispettive condotte avessero finito per comportare un reciproco sostegno e una reciproca conferma, univocamente direzionata ai danni dell’attore. A ciò di aggiunga che il fatto stesso di avere effettuato riprese degli eventi utilizzando, evidentemente senza consenso il telefono dell’attore appare da sola significativa quanto meno di una violenza privata nei confronti di quest’ultimo, perpetrata tramite l’appropriazione e l’utilizzo, senza utilità e anzi a danno dell’attore, di un oggetto strettamente appartenente alla sfera privata e riservata dell’attore. L’eccezione dei convenuti, di esclusione della responsabilità nei fatti, appare dunque radicalmente infondata, dovendosi invece ritenere una responsabilità di tutti i convenuti per i fatti in oggetto”
Alla luce di tutto quanto sopra esposto, la Corte di merito ha concluso nel ritenere sussistente una responsabilità solidale di tutti gli autori dell’illecito, ai sensi dell’art. 2043 e 2055 c.c., con una gradazione delle rispettive quote di responsabilità, nei rapporti interni, tra i tre convenuti, proporzionandole nel caso concreto, attraverso un addebito del 50% a carico bullo autore anche delle percosse e del 25% ciascuno per gli altri due corresponsabili.