-breve excursus sul destino dei contratti commerciali al tempo del Covid-19 –
La pandemia attanaglia il mondo e le manovre predisposte per fronteggiare l’emergenza hanno pesanti ricadute sull’andamento economico-finanziario del paese.
Una delle problematiche più rilevanti deriva dall’adozione di misure che hanno prima rallentato e poi sospeso le attività produttive non essenziali, quelle relative alla ristorazione e alle vendite al dettaglio. Ciò con non poche conseguenze: le aziende e le società meno strutturate, oggi più che mai, sentono il gravoso peso dei debiti a causa della sopravvenuta ed improvvisa mancanza di liquidità generata dalla serrata forzata.
Certo è che gli interventi del Governo non si sono fatti attendere e dalla chiusura totale dell’11 marzo 2020 i provvedimenti emanati sono stati orientati nella direzione non solo del contenimento dell’epidemia ma anche nell’aiuto trasversale a imprese, artigiani, professionisti e lavoratori, con interventi ad hoc capaci di mettere nelle tasche degli italiani denari per fronteggiare la crisi economica e sociale.
L’eccezionalità di un evento improvviso così devastante come la pandemia che attanaglia l’Italia, potrebbe astrattamente configurare, in casi specifici, l’attivazione del rimedio risolutorio derivante dalla sopravvenuta impossibilità di una delle parti contrattuali di adempiere alle obbligazioni assunte.
Siamo nell’ambito dei contratti onerosi e a prestazioni corrispettive. L ’art 1464 cc afferma: “Nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito.
Ciò significa che ogni volta che il debitore si trova, improvvisamente e per causa a lui non imputabile, nell’impossibilità oggettiva di eseguire una o tutte le prestazioni, può invocare l’istituto di cui sopra per evitare l’adempimento della propria prestazione e, allo stesso tempo, l’insorgenza di responsabilità contrattuali ed extracontrattuali causate dell’inadempimento.
E’ tuttavia opportuno operare i dovuti distinguo.
L’impossibilità, per essere idonea a dissolvere il vincolo contrattuale, deve avere i caratteri della definitività, cioè l’evento sopravvenuto deve essere tale da non consentire in alcun modo alla parte, seppur in buonafede, di adempiere e all’altra parte di esigerla dall’inadempiente utilizzando l’ordinaria diligenza. In questo caso, la parte tenuta alla prestazione è liberata, così come prevede l’Art. 1256 primo comma, ma questa non avrà alcun diritto a richiedere la controprestazione e per di più sarà obbligata a restituire quello che ha già ricevuto a titolo di adempimento contrattuale da parte dell’altro contraente
Se l’impossibilità fosse soltanto temporanea, ovvero la prestazione diventasse ineseguibile ed inesigibile solo per un determinato momento circoscritto nel tempo, le obbligazioni contrattuali assunte rimarrebbero vive, ma la parte impossibilitata ad adempiere non potrebbe essere in alcun modo ritenuta responsabile del ritardo nell’adempimento (Art. 1256 secondo comma).
Può, però, succedere che con il passare del tempo anche l’impossibilità temporanea diventi motivo di scioglimento del vincolo contrattuale. In questo senso il codice civile è chiaro: “ Tuttavia l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla” . È bene precisare che un siffatto risultato non può essere generalizzato, ma deve essere ponderato alla luce delle caratteristiche (natura e titolo) dell’obbligazione divenuta impossibile da adempiere.
Sono sempre fatte salve differenti pattuizioni tra le parti che mirano alla salvaguardia del contratto.
In aggiunta a quanto appena detto, brevi cenni in materia merita anche l’istituto della risoluzione contrattuale per eccessiva onerosità sopravvenuta di cui all’art. 1467 del Codice civile.
Siamo questa volta nell’ambito di contratti ad esecuzione periodica o continuativa (più prestazioni, anche dello stesso tipo, distribuite in un lasso di tempo determinato) o ad esecuzione differita (l’adempimento della prestazione è rimandata ad un momento successivo e definito), dove, data la proiezione nel futuro dell’adempimento, spesso accade che avvenimenti straordinari ed imprevedibili (sopravvenienze) rendano l’adempimento della prestazione eccessivamente onerosa e non più conveniente per il contraente.
In tal caso, la parte che deve effettuare la prestazione divenuta eccessivamente onerosa, può domandare la risoluzione del contratto, che tuttavia spiegherà i suoi effetti solo con riferimento alle prestazioni non eseguite.
Va tuttavia precisato che la parte che riceve la richiesta di risoluzione può evitarla controproponendo la volontà di modificare le condizioni contrattuali, riconducendo il contratto ad equità, così da risultare nuovamente vantaggioso per entrambi i contraenti.
Alla luce dei principi esposti, è evidente che il quadro fattuale è tutt’altro che semplice. Per poter stabilire con certezza se le misure adottate dalle Autorità per il contenimento del Covid-19, possano costituire effettivamente una causa di impossibilità sopravvenuta idonea solo ad interrompere l’adempimento di una obbligazione ovvero a sciogliere definitivamente un vincolo contrattuale è necessaria una valutazione caso per caso.
La valutazione dovrà tener presente molteplici elementi, quali il tipo di contratto stipulato, i fatti alla base del ritardo o dell’inadempimento, la presenza della buona fede, l’assenza di soluzioni alternative all’inadempimento. Solo con spirito collaborativo e costruttivo sarà possibile trovare una soluzione adatta a tutelare ambo le parti contrattuali ed evitare inutili e dispendiosi contenziosi giudiziari.