Contesto e tematiche giuridiche

La sentenza affronta una controversia scaturita dal divorzio tra A.A. e B.B., in particolare:

  • Revoca dell’assegnazione della casa familiare, attribuita in sede di separazione consensuale.
  • Attribuzione e determinazione dell’assegno divorzile.
  • Distinzione tra accordi raggiunti in separazione consensuale e la loro incidenza sui provvedimenti di divorzio.

La Corte di Cassazione si pronuncia su sei motivi di ricorso principale proposti dal marito, A.A., e su un ricorso incidentale della moglie, B.B.

Esame delle questioni trattate

Revoca dell’assegnazione della casa familiare

La Corte d’Appello aveva ritenuto che l’accordo relativo alla casa familiare, stipulato durante la separazione consensuale, non potesse essere modificato o revocato dal giudice del divorzio, trattandosi di un accordo privato non soggetto alla disciplina delle condizioni essenziali del matrimonio.

La Cassazione:

  • Accoglie i primi tre motivi di ricorso principale, stabilendo che il giudice del divorzio può modificare o revocare gli accordi raggiunti in sede di separazione consensuale se questi costituiscono “condizioni essenziali” legate al rapporto matrimoniale.
  • Sottolinea che la decisione della Corte d’Appello si fonda su un’interpretazione incompleta degli accordi: non è stato verificato se la pattuizione relativa alla casa familiare fosse finalizzata a garantire il mantenimento del coniuge più debole, rendendola quindi parte integrante delle condizioni di separazione.

Assegno divorzile

  • La Corte d’Appello aveva riconosciuto un assegno divorzile di natura assistenziale a B.B. (3.500 euro mensili) basandosi sul divario economico tra le parti, la durata del matrimonio e le difficoltà lavorative e di salute della donna.
  • La Cassazione:
    • Dichiara inammissibili i motivi di ricorso (quinto e sesto) che contestano la valutazione della Corte d’Appello sulla base di una certificazione medica, poiché il ricorrente non ha dimostrato come tale documentazione abbia violato il contraddittorio o influito in modo significativo sulla decisione.

Funzione perequativo-compensativa dell’assegno

  • Il ricorso incidentale di B.B. lamentava che l’assegno divorzile fosse inadeguato e che la Corte d’Appello avesse erroneamente escluso la componente perequativo-compensativa.
  • La Cassazione:
    • Dichiara inammissibile il ricorso incidentale, rilevando che le critiche si limitano a contestare le valutazioni di merito del giudice d’appello, senza evidenziare violazioni di legge o specifici vizi.

Principi di diritto affermati

  1. Distinzione tra contenuto essenziale ed eventuale degli accordi di separazione consensuale:
    • Gli accordi legati al mantenimento o ad altre forme di solidarietà coniugale sono suscettibili di modifica in sede di divorzio, in quanto collegati direttamente al rapporto matrimoniale.
    • Gli accordi “occasionali” stipulati durante la separazione, che regolano rapporti patrimoniali estranei ai doveri coniugali, sono sottratti alla competenza del giudice del divorzio e regolati dal diritto contrattuale.
  2. Rilevanza della volontà delle parti:
    • Il giudice deve interpretare gli accordi di separazione consensuale tenendo conto della volontà delle parti, come indicato dal testo degli atti e dai principi di ermeneutica contrattuale.
  3. Assegno divorzile:
    • La funzione assistenziale dell’assegno è prevalente quando si riscontra uno squilibrio economico tra le parti e il coniuge richiedente è in condizioni oggettive di difficoltà.

Valutazioni critiche

  • Interpretazione errata della Corte d’Appello: La Cassazione evidenzia l’incompletezza dell’analisi relativa agli accordi sulla casa familiare, sottolineando la necessità di distinguere tra pattuizioni essenziali e occasionali.
  • Rigore nella valutazione probatoria: La Corte conferma che il ricorrente non ha fornito elementi sufficienti per dimostrare l’inammissibilità della certificazione medica utilizzata dalla controparte.
  • Bilanciamento tra autonomia contrattuale e giurisdizione: La sentenza chiarisce che il giudice del divorzio può intervenire solo sugli accordi legati direttamente alla relazione coniugale.

Implicazioni pratiche

  • Tutela dell’autonomia privata: La decisione conferma che gli accordi patrimoniali tra coniugi in separazione sono vincolanti, salvo che siano inerenti al mantenimento o ad altre finalità essenziali del matrimonio.
  • Valutazione approfondita degli accordi: I giudici di merito devono analizzare gli accordi di separazione con attenzione per determinare se siano modificabili in sede di divorzio.
  • Definizione dell’assegno divorzile: La sentenza ribadisce l’importanza di una valutazione equilibrata tra funzione assistenziale e perequativo-compensativa.

Conclusione

La Cassazione:

  • Accoglie parzialmente il ricorso principale, rinviando alla Corte d’Appello di Venezia per una nuova valutazione della revoca dell’assegnazione della casa familiare e delle condizioni economiche connesse.
  • Rigetta il ricorso incidentale.
  • Stabilisce principi di diritto chiari sulla distinzione tra accordi essenziali ed eventuali in sede di separazione consensuale e sul ruolo del giudice del divorzio.

DIVORZIO› Assegno di divorzio

SEPARAZIONE DEI CONIUGI› Alimenti e mantenimento

Svolgimento del processo

A.A. contraeva matrimonio concordatario con B.B. in data 15/09/2001, dal quale non nascevano figli.

Le parti concordavano la separazione consensuale omologata in data 04/09/2014.

Gli accordi di separazione prevedevano l’erogazione di un assegno di Euro 6.000,00 al mese in favore della B.B. e l’attribuzione a quest’ultima del diritto di godimento della casa familiare, alle condizioni previste dall’art. 337-sexies , comma 1, c.c., con la precisazione che l’attribuzione di tale diritto di godimento costituiva contributo al mantenimento della moglie.

Con ricorso depositato in data 10/10/2017 A.A., chiedeva pronunciarsi la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario senza alcuna ulteriore statuizione, deducendo che la donna aveva notevolmente ampliato la attività imprenditoriale di creazione e vendita di articoli di moda, di cui era già titolare da prima della separazione.

Nel costituirsi in giudizio, B.B. aderiva alla domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio, ma chiedeva l’attribuzione di un assegno divorzile di Euro 15.000,00 mensili o, in subordine, di Euro 25.000,00, qualora non le fosse stata assegnata la casa coniugale.

Con sentenza parziale n. 660/2019 il Tribunale di Vicenza dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio e, non ammesse le prove orali richieste dalle parti, fissava udienza di precisazione delle conclusioni, all’esito della quale pronunciava la sentenza n. 203/2022, con la quale revocava l’assegnazione della casa familiare e respingeva la richiesta di attribuzione dell’assegno divorzile in favore della B.B.

Avverso tale sentenza proponeva appello quest’ultima sulla base di tre motivi.

Con il primo motivo, l’appellante lamentava l’error in iudicando nell’adozione del provvedimento di revoca dell’assegnazione della casa coniugale, eccependo la nullità della sentenza sul punto per vizio di ultrapetizione, in violazione dell’art. 112  c.p.c., oltre che di omessa motivazione. Evidenziava, in particolare, che la casa coniugale era stata oggetto di un accordo, e non di un’assegnazione secondo la disciplina ordinaria, e che le parti, in sede di separazione consensuale, avevano concluso una convenzione per la concessione della villa in godimento all’ex moglie proprio in quanto dal matrimonio non erano nati figli. Aggiungeva che il A.A. non aveva avanzato in giudizio alcuna istanza di revoca dell’assegnazione della casa, ma al contrario aveva esplicitamente richiesto che il Tribunale si astenesse dall’adozione di qualunque provvedimento in proposito.

Con il secondo motivo, l’appellante deduceva la violazione dell’obbligo di motivazione in ordine al rigetto delle domande e istanze istruttorie, nonché alla complessiva valutazione del materiale probatorio offerto in ordine alle consistenze patrimoniali e reddituali dell’ex marito.

Con il terzo motivo, lamentava il vizio di motivazione e l’errore di diritto in merito al mancato riconoscimento in suo favore del diritto all’assegno divorzile, nonché la contraddittorietà della motivazione sul punto.

Nel costituirsi in giudizio, il A.A. chiedeva il rigetto del gravame.

Con la sentenza n. 189/2023, la Corte d’Appello riformava la decisione di primo grado, annullando il capo della sentenza che aveva disposto la revoca dell’assegnazione della casa familiare e ponendo a carico del A.A., con decorrenza dalla data di pubblicazione della sentenza del Tribunale, l’obbligo di corrispondere a B.B. la somma mensile di Euro 3.500,00, a titolo di assegno divorzile, da rivalutarsi annualmente secondo gli indici Istat.

La Corte d’Appello rilevava che la casa coniugale, nella fase di separazione, era stata oggetto di un accordo privato, e non di un’assegnazione secondo la “disciplina ordinaria”, avendo i coniugi concluso una convenzione (poi omologata dal Tribunale) per la concessione della casa familiare in godimento alla moglie, tant’è che il A.A., nel ricorso di primo grado, non aveva avanzato alcuna istanza di revoca dell’assegnazione della casa familiare alla ex moglie, ma aveva richiesto al Tribunale di astenersi da ogni pronunciamento sul punto.

Secondo il giudice di secondo grado, dunque, nel disporre la revoca dell’assegnazione della casa familiare, il Tribunale aveva violato il disposto dell’art. 112  c.p.c., avendo statuito ultra petitum su una domanda mai formulata dal ricorrente, anzi da questi espressamente esclusa, e su cui comunque lo stesso Tribunale non avrebbe potuto provvedere, trattandosi di convenzione autonoma tra le parti raggiunta in fase di separazione, che non poteva essere assoggettata alla disciplina ordinaria che attiene al divorzio.

Passando all’esame del secondo e del terzo motivo di appello, la menzionata Corte riteneva insussistenti i presupposti per riconoscere a favore della B.B. un assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa, mentre poteva esserle attribuito un assegno divorzile di natura assistenziale, dovendo darsi conto: – dello squilibrio eccezionalmente rilevante nella capacità patrimoniale e reddituale delle parti; – della significativa durata del matrimonio (13 anni); – dell’età della ex moglie (quasi 50 anni) e delle sue condizioni di salute, confermate nella certificazione medica del 25/11/2022 da ultimo prodotta (sindrome ansioso-depressiva, che dimostrava la sua obiettiva difficoltà nel realizzare un pieno, proficuo e redditizio inserimento nel modo del lavoro, pur svolgendo un’attività economica imprenditoriale nel mondo della moda caratterizzata da modesti introiti).

Considerata anche l’entità del contributo a favore della moglie concordato tra le parti in sede di separazione, e dovendo attribuire all’assegno divorzile una finalità meramente assistenziale, la Corte d’Appello riteneva congruo determinare in Euro 3.500,00 mensili l’importo dovuto dal A.A. a decorrere dalla data di pubblicazione dell’impugnata sentenza di primo grado, da versare entro il giorno 5 di ogni mese, e annualmente rivalutato secondo indici Istat.

Avverso tale pronuncia A.A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.

L’intimata si è difesa con controricorso e ha formulato un motivo di ricorso incidentale, cui il ricorrente principale ha replicato con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso principale è dedotta l’illegittimità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 , comma 1, n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell’art. 1362  c.c., in relazione all’art. 5 , comma 6, L. n. 898 del 1970  (come sostituito dall’art. 11  L. n. 74 del 1987 ), con riferimento all’interpretazione data dalla Corte d’Appello dell’accordo omologato in sede di separazione personale dei coniugi.

Secondo il ricorrente principale, la Corte di merito ha erroneamente affermato che il Tribunale non potesse pronunciarsi sulla domanda di assegnazione della casa familiare, in ragione del fatto che l’accordo raggiunto in sede di separazione consensuale era sottratto alla cognizione del giudice del divorzio, operando una interpretazione di tale accordo violativa dell’art. 1362  c.c., tenuto conto che dal tenore letterale dello stesso si evinceva chiaramente che la casa era stata attribuita a titolo di diritto personale di godimento senza il pagamento di alcun corrispettivo, con i limiti di cui all’art. 337-sexies , comma 1, parte seconda, c.c. (e con esclusione di alcuni lotti di terreno), e con la inequivoca precisazione che tale attribuzione costituiva contributo al mantenimento della moglie da parte del marito.

In tale ottica, poiché la pronuncia di divorzio determinava la cessazione dello stato di separazione, anche la regolamentazione del godimento della casa familiare, correlata a tale stato, era destinata a venire meno.

Con il secondo motivo di ricorso principale è dedotta l’illegittimità della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 , comma 1, n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell’art. 6 , comma 6, L. n. 898 del 1970  (come sostituito dall’art. 11  L. n. 74 del 1987 ).

Come già anticipato nell’illustrazione del primo motivo, secondo il ricorrente, la Corte d’Appello non ha tenuto conto del fatto che le condizioni economiche di separazione tra i coniugi, anche di natura consensuale, sono comunque destinate – a meno che non comportino un trasferimento della proprietà di beni – ad una perdurante vigenza soltanto sino alla introduzione di un nuovo regolamento patrimoniale fissato ex nunc dal giudice in sede divorzile, secondo i criteri ex lege previsti, sicché nella specie il giudice del divorzio era chiamato a valutare la spettanza o meno dell’assegnazione della casa familiare alla ex moglie, tenuto conto che il A.A. aveva espressamente chiesto di escluderla e la B.B. aveva chiesto che venisse confermata.

Con il terzo motivo di ricorso principale è dedotta l’illegittimità della sentenza ai sensi dell’art. 360 , comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell’art. 112  c.p.c. e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello, in evidente violazione e falsa applicazione dell’art. 112  c.p.c., ha travisato le richieste formulata dal A.A. in primo grado, il quale aveva chiesto che il Tribunale non adottasse nessuna statuizione in ordine all’assegnazione della casa familiare (“2) nessuna statuizione di contenuto economico in favore della moglie o in ordine alla assegnazione della casa ex familiare”), domanda ribadita anche a p. 4 della memoria integrativa depositata davanti al medesimo Tribunale in data 21/12/2018 (“dichiarare che nessun assegno divorzile è dovuto da A.A. a B.B. non sussistendone i presupposti di fatto e diritto…; nessuna statuizione in ordine alla assegnazione della casa ex familiare”), non perché il giudice del divorzio non poteva modificare il patto contenuto negli accordi di separazione, ma perché le condizioni di separazione sarebbero venute meno con la sentenza di divorzio, con la conseguenza che il Tribunale era chiamato a definire ex novo la regolamentazione dei rapporti economici tra gli ex coniugi, escludendo l’assegnazione della casa familiare.

Il ricorrente principale ha anche evidenziato che la sua richiesta di non assegnazione della casa di sua proprietà alla ex moglie era facilmente evincibile anche dagli argomenti spesi nella memoria integrativa in primo grado, ove aveva evidenziato che non poteva essere mantenuto il diritto personale di godimento della casa coniugale, concesso in favore della B.B. all’atto della separazione, stante l’assenza di figli. La stessa parte ha, poi, aggiunto che, in ogni caso, la questione era stata posta anche dalla controparte, che, a sua volta, aveva chiesto la conferma dell’assegnazione dell’abitazione alla ex moglie, come si leggeva nella conclusioni della stessa, riportate negli atti del giudizio di primo grado, nella sentenza del Tribunale, nel ricorso in appello ed anche nella sentenza impugnata.

Con il quarto motivo di ricorso principale è dedotta l’illegittimità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 , comma 1, n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell’art. 6 , comma 6, L. n. 898 del 1970  (come sostituito dall’art. 11  L. n. 74 del 1987 ).

Secondo il ricorrente principale, la Corte d’Appello ha finito per assegnare la casa familiare all’appellante, nonostante mancasse in concreto il presupposto indefettibile di tale provvedimento giudiziale, non essendo nati figli dal matrimonio.

Con il quinto motivo di ricorso principale è dedotta l’illegittimità della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 , comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli artt. 111  e 24  Cost., avendo la Corte d’Appello ritenuto l’impossibilità di B.B. di inserirsi nel modo del lavoro in base ad una certificazione medica, datata 25/11/2022, acquisita in violazione del principio del contraddittorio, essendo stata allegata alle note di trattazione scritta del 07/12/2022, depositate dalla controparte in vista dell’udienza di discussione finale del 12/12/2022, celebratasi in modalità cartolare, ove il Collegio ha trattenuto la causa in decisione, senza che il A.A. avesse potuto dedurre alcunché circa tale nuova produzione.

Con il sesto motivo di ricorso principale è dedotta l’illegittimità della sentenza ai sensi dell’art. 360 , comma 1, n. 4 c.p.c. per violazione e falsa applicazione dell’art. 115  c.p.c., in relazione alla ritenuta impossibilità di B.B. di inserirsi nel modo del lavoro in modo redditizio a causa delle sue condizioni di salute, affermata sulla base di una prova inesistente.

Secondo il ricorrente principale, la Corte d’Appello ha ritenuto, sulla base della certificazione medica del 25/11/2022, sopra menzionata, che la patologia depressiva, che affliggeva la B.B., le precludesse di procurarsi autonomamente mezzi adeguati per vivere, ma in tale certificazione non era rappresentato nulla, né riguardo ad un peggioramento della condizione ansioso-depressiva della donna né riguardo alle capacità reddituali e lavorative di quest’ultima, incorrendo perciò in un errore di percezione del contenuto oggettivo del certificato.

2. Con l’unico motivo di ricorso incidentale è dedotta l’illegittimità della sentenza ai sensi dell’art. 360 , comma 1, n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell’art. 5  L. n. 898 del 1970  in relazione alla ritenuta insussistenza dei presupposti fondanti la funzione perequativo-compensativa dell’assegno divorzile in favore della signora B.B. ed anche con riguardo alla riduzione dell’importo stabilito dalle parti in sede di separazione.

Secondo la ricorrente incidentale, in considerazione dell’enorme divario economico esistente tra gli ex coniugi, avrebbe dovuto ottenere l’attribuzione di un assegno divorzile di importo grandemente superiore a quello liquidato, da determinarsi considerando anche la funzione perequativo-compensativa dello stesso, ingiustamente non riconosciuta, per avere la parte allegato e offerto di provare tutte le circostanze poste a fondamento di entrambe le componenti costitutive dell’assegno divorzile, mentre, invece, la mancata ammissione delle istanze istruttorie formulate con la seconda memoria ex art. 183 , comma 4, c.p.c. dalla signora B.B. si era risolto in un pregiudizio per quest’ultima.

3. È infondata l’eccezione di novità del primo motivo di ricorso principale, nella parte in cui è dedotta la violazione delle regole ermeneutiche dei contratti, con riferimento all’interpretazione degli accordi intercorsi tra le parti in sede di separazione consensuale omologata.

Dalla stessa lettura della sentenza in questa sede impugnata si evince che la questione era stata già oggetto del giudizio di merito, tenuto conto che con il primo motivo di appello la B.B. aveva criticato la statuizione del primo giudice, deducendo che la casa coniugale era stata oggetto di un accordo intercorso tra le parti, e non di un’assegnazione secondo la disciplina ordinaria (p. 9 della sentenza impugnata), e che pertanto non poteva essere revocata in sede di divorzio, soluzione contrastata dal A.A., ma fatta propria dal giudice del gravame.

4. Il primo, il secondo e il terzo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, stante la intima connessione esistente, e si rivelano fondati, sia pure nei limiti di seguito precisati.

5. Si deve subito precisare che la materia del contendere ruota intorno alle condizioni di separazione consensuale, omologata dal Tribunale di Vicenza il 10/09/2014, ove le parti hanno previsto, oltre ad un assegno mensile di Euro 6.000,00 in favore della B.B., quanto segue: “A titolo di diritto personale di godimento con i limiti di cui all’art. 337-sexies  1 co. parte II Cod. Civ. (cessazione della stabile abitazione, convivenza more uxorio) la moglie rimarrà nella casa di A, Via (omissis), di proprietà esclusiva del marito, già adibita a residenza familiare, senza corresponsione di canone; dalla casa sono esclusi i lotti di terreno censiti al Catasto Terreni … la moglie consentirà l’accesso ai predetti lotti da parte degli incaricati dal marito alla manutenzione. La attribuzione del godimento della casa già familiare costituisce contributo al mantenimento della moglie da parte del marito; …” (p. 11 – 12 del ricorso per cassazione; p. 2 del controricorso contenente ricorso incidentale; p. 3 della sentenza in questa sede impugnata).

6. La Corte d’Appello, con riferimento al primo motivo di gravame, ove era stata censurata la statuizione del Tribunale che ha statuito come segue: ” Il Tribunale, nel disporre la revoca dell’assegnazione della casa familiare, ha violato il disposto di cui all’art. 112  c.p.c., avendo statuito ultra petitum su domanda mai formulata dal ricorrente, anzi da questi espressamente esclusa, e su cui comunque lo stesso Tribunale non avrebbe potuto provvedere, trattandosi di convenzione autonoma tra le parti raggiunta in fase di separazione, che pertanto (per le ragioni esposte dallo stesso ricorrente in primo grado) non può essere attratto dalla disciplina ordinaria che regola il divorzio. Trattasi infatti di clausola privata contenuta nella separazione consensuale omologata, in merito al quale il giudice del divorzio non è legittimato a pronunciarsi.”

È evidente che la pronuncia si fonda su due distinte rationes decidendi, entrambe censurate nel presente giudizio di legittimità.

Da una parte, la Corte d’Appello ha affermato che il Tribunale si è pronunciato sull’assegnazione della casa familiare, senza che fosse stata a lui fatta la relativa richiesta (e in riferimento a tale statuizione è formulato il terzo motivo di ricorso principale per cassazione).

Dall’altra, la stessa Corte d’Appello ha ritenuto che, su tale statuizione, il giudice del divorzio non avrebbe comunque potuto statuire, perché l’attribuzione in godimento della casa familiare, prevista in sede di separazione consensuale, era espressione di un accordo autonomo e distinto rispetto alle vere e proprie condizioni di separazione (e in riferimento a tale statuizione sono formulati il primo e il secondo motivo di ricorso principale per cassazione).

7. In tale quadro, il terzo motivo di ricorso principale, che attinge la descritta prima ratio della decisione impugnata, deve essere esaminato con priorità, riguardando la prospettazione di un vizio del processo.

7.1. Occorre tenere presente che il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri uno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (petitum e causa petendi), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell’ambito della domanda o delle richieste delle parti (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17897 del 03/07/2019 ; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 22595 del 26/10/2009 ).

7.2. Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’Appello, nel caso di specie, deve senza dubbio escludersi che il giudice di primo grado sia incorso in tale vizio.

Il A.A. ha evidenziato (richiamando puntualmente gli atti a cui ha fatto riferimento, e il loro contenuto) di avere esplicitato più volte la volontà che il giudice del divorzio non provvedesse sull’assegnazione della casa familiare, non perché riteneva che fosse ad esso inibita la statuizione sul punto, in ragione della fonte negoziale dell’attribuzione del diritto di godimento su detto bene (come ha ritenuto dalla Corte d’Appello), ma perché non intendeva conservare le condizioni concordate in sede di separazione e, perciò, evidenziava che non vi erano i presupposti la casa familiare alla ex moglie, dato che dal matrimonio non erano nati figli (v. le conclusioni del ricorso introduttivo di primo grado e della memoria integrativa, riportate a p. 16 del ricorso principale).

Che, poi, la questione dell’assegnazione della casa familiare fosse entrata a far parte della materia del contendere già nel primo grado di giudizio si evince chiaramente dallo svolgimento del processo, come ricostruito dalla Corte territoriale nella sentenza impugnata, ove si precisa, con riferimento alle domande e alle conclusioni delle parti, che il A.A. aveva chiesto che non venisse disposta l’assegnazione, sebbene la casa fosse stata attribuita in godimento alla ex moglie in sede di separazione consensuale, mentre la B.B. aveva diversificato la misura dell’assegno divorzile richiesto, a seconda che le venisse o meno confermata l’assegnazione della casa familiare (v. in particolare p. 2 – 3 e p. 5 – 6 della sentenza impugnata).

È vero che il Tribunale, nel pronunciare sul divorzio, ha espressamente revocato l’assegnazione della casa familiare, sebbene il A.A. avesse espressamente chiesto solo che non venisse disposta l’assegnazione in sede di divorzio, ma il risultato era sicuramente quello voluto dal ricorrente, che, si ribadisce, aveva chiaramente espresso la volontà di non conservare in sede di divorzio gli accordi raggiunti sul punto in sede di separazione, i quali, tuttavia, erano stati confermati all’esito dell’udienza presidenziale in sede di divorzio (v. p. 3 del controricorso con ricorso incidentale della B.B.) e, quindi, sono stati espressamente eliminati quando alle statuizioni provvisorie e urgenti del Presidente sono state sostituite quelle che hanno definito il giudizio di primo grado.

8. Ciò non toglie che la Corte d’Appello, investita della questione relativa all’assegnazione della casa familiare, non voluta dal A.A. e richiesta dalla B.B., sia stata chiamata a valutare, prima di tutto, la possibilità, in sede di divorzio contenzioso, di modificare o revocare la pattuizione contenuta negli accordi di separazione consensuale del 2014, che aveva previsto, oltre all’erogazione di un assegno periodico in favore della B.B., l’attribuzione alla stessa di un diritto personale di godimento a titolo gratuito della casa familiare, di proprietà esclusiva del marito, stabilendo espressamente che tale attribuzione costituiva contributo al mantenimento da parte del marito (p. 11 – 12 del ricorso per cassazione; p. 2 del controricorso contenente ricorso incidentale; p. 3 della sentenza impugnata).

Tale questione attiene alla seconda ratio decidendi della sentenza impugnata, censurata con il primo e il secondo motivo di ricorso principale per cassazione.

8.1. Questa Corte ha più volte affermato che l’accordo mediante il quale i coniugi pongono consensualmente termine alla convivenza può racchiudere una pluralità di pattuizioni, oltre a quelle che integrano il suo contenuto imprescindibile.

Viene, in particolare, operata la distinzione tra contenuto essenziale (o necessario) degli accordi di separazione, collegato direttamente al rapporto matrimoniale, e contenuto eventuale (o accessorio) degli stessi, collegato in via soltanto estrinseca con i patti principali.

In quest’ultimo caso, si tratta di negozi che non hanno causa nella separazione personale dei coniugi, risultando semplicemente “occasionati” dalla separazione medesima (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 24321 del 22/11/2007 ).

Tali negozi non si configurano come convenzioni matrimoniali ex art. 162  c.c., ma costituiscono espressione di libera autonomia contrattuale, volta a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico, ai sensi dell’art. 1322  c.c., che rispondono, di norma, ad un originario e unitario spirito di sistemazione, a seguito della crisi della coppia, di tutta quell’ampia serie di rapporti (anche del tutto frammentari) aventi significati (anche solo riflessi) patrimoniali, maturati nel corso della convivenza matrimoniale (v. in particolare Cass., Sez. 1, Sentenza n. 4306 del 15/05/1997 ; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 11342 del 17/06/2004 ; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 8516 del 12/04/2006 ).

In sintesi, l’accordo mediante il quale i coniugi pongono consensualmente termine alla convivenza può racchiudere pattuizioni distinte da quelle che integrano il suo contenuto essenziale (riguardanti, cioè, il consenso dei coniugi a vivere separati, il mantenimento del coniuge e dei figli, l’affidamento e la frequentazione di questi ultimi, l’assegnazione della casa familiare, ove ne ricorrano i presupposti), e che ad esso non sono immediatamente riferibili.

Si tratta di quegli accordi assunti “in occasione” della separazione, i quali costituiscono espressione di libera autonomia negoziale, nel senso che servono a costituire, modificare od estinguere rapporti giuridici patrimoniali, ai sensi dell’art. 1321  c.c. (a solo titolo esemplificativo, la divisione dei beni in comunione, la destinazione degli animali domestici, la disciplina del godimento della casa di vacanza, l’impegno a vedere un bene comune e a estinguere il mutuo fondiario con i proventi, ecc…), e sono finalizzati a risolvere le questioni che si presentano con la cessazione della vita in comune, da ritenersi vincolanti per le parti secondo le ordinarie regole civilistiche negoziali e del tutto leciti, purché non ledano diritti inderogabili (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 16909 del 19/08/2015 ).

8.2. Ben possono, le dette pattuizioni – quelle aventi causa concreta nella separazione (volte ad assolvere ai doveri di solidarietà coniugale per il tempo immediatamente successivo alla separazione) e quelle aventi mera occasione nella separazione (finalizzate semplicemente a regolare situazioni patrimoniali che non è più interesse delle parti mantenere invariate) -, coesistere nello stesso atto, ma la relativa disciplina giuridica è profondamente diversa, poiché gli accordi che disciplinano il contenuto necessario della separazione possono essere revocati e modificati ai sensi dell’art. 710  c.p.c. (nella specie applicabile ratione temporis, poi sostituito dall’attuale art. 473-bis  29, c.p.c.) e, con riguardo ai coniugi, sono destinati ad essere superati dalla pronuncia di divorzio, che reca con sé nuove condizioni correlate all’acquisto del nuovo status, mentre gli accordi semplicemente occasionati dalla procedura separativa sono assoggettati alla disciplina propria dei negozi giuridici e sono sottratti alla statuizione del giudice del divorzio, che non può revocarli o modificarne il contenuto (cfr. sulla diversità di disciplina, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24687 del 11/08/2022 ).

8.3. In sintesi, la distinzione delle diverse tipologie di accordi raggiunti dalle parti in sede di separazione consensuale assume un rilievo fondamentale, poiché solo le pattuizioni che sono state adottate semplicemente “in occasione” della separazione sono regolate dalla disciplina comune dei negozi di diritto privato e non seguono la sorte di tutte le condizioni di separazione che, con riguardo ai rapporti tra coniugi, sono superate dalla nuova regolamentazione che segue al divorzio.

8.4. La distinzione tra contenuto necessario e contenuto eventuale delle condizioni di separazione non corrisponde automaticamente alla distinzione tra pattuizioni tipiche o atipiche, poiché le parti possono prevedere modalità atipiche di regolamentazione dei loro rapporti a seguito della separazione che, però, attengono al contenuto essenziale delle condizioni di separazione, in quanto destinate ad assolvere ai doveri di solidarietà coniugale per il tempo immediatamente successivo alla separazione.

L’interprete è, dunque, tenuto a verificare se la pattuizione in esame, pur contenendo prestazioni diverse da quelle tipiche, assolve alla finalità proprie delle statuizioni necessarie, conseguenti alla separazione, oppure no.

Solo nel primo caso può ritenersi che la pattuizione, riferita ai rapporti tra coniugi, effettuata in sede di separazione consensuale, sia suscettibile di essere travolta dalla pronuncia di divorzio.

Occorre, dunque, che il giudice del merito, nell’esaminare l’accordo destinato a disciplinare la separazione consensuale, individui la comune intenzione delle parti, nel rispetto dei criteri fissati dall’art. 1362  c.c. e ss., verificando se le condizioni di separazione contengano patti riconducibili all’una o all’altra categoria.

In tale quadro, il primo strumento da utilizzare è il senso letterale delle parole e delle espressioni adoperate, mentre soltanto se esso risulti ambiguo può farsi ricorso ai canoni strettamente interpretativi contemplati dall’art. 1362 all’art. 1365  c.c. e, in caso di loro insufficienza, a quelli interpretativi integrativi previsti dall’art. 1366  c.c. all’art. 1371  c.c. (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 33451 del 11/11/2021 ; Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 17063 del 20/06/2024 ).

8.5. La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei principi esposti, essendosi limitata a rilevare che, nella specie, le parti avevano previsto l’attribuzione di un diritto personale di godimento, e non l’assegnazione della casa familiare, senza verificare, secondo i canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362  c.c. e ss., sopra richiamati e, dunque, valutando prima di tutto il senso letterale delle parole e delle espressioni adoperate, se tale attribuzione rispondesse a finalità proprie delle condizioni essenziali della separazione, e in particolare a quella di assicurare al coniuge economicamente più debole “il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento”, secondo quanto previsto dall’art. 156  c.c., oppure no (cfr. per una fattispecie simile v. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 16909 del 19/08/2015 ).

9. L’esame del quarto motivo di ricorso principale risulta superfluo, all’esito dell’accoglimento dei precedenti motivi di ricorso, dovendo pertanto ritenersi assorbito.

10. Il quinto motivo di ricorso principale è inammissibile.

10.1. Il ricorrente principale ha affermato che la decisione sulla spettanza dell’assegno divorzile in favore della B.B., in riferimento all’assenza di mezzi adeguati e all’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, si è fondata (anche) su una certificazione medica acquisita al processo in asserita violazione del diritto al contraddittorio, essendo stata allegata alle note di trattazione scritta del 07/12/2022, depositate dalla controparte prima dell’udienza di discussione finale del 12/12/2022, celebratasi in modalità cartolare, senza che egli avesse avuto la possibilità di dedurre alcunché circa la nuova produzione documentale avversaria.

Nella sentenza impugnata, si legge che il documento è stato acquisito perché nuovo, in conformità al disposto dell’art. 345 , comma 3, c.p.c. (“… A riscontro della patologia depressiva di cui è affetta la sig.ra B.B., v. pure certificazione medica di data 25.11.2022 prodotta sub doc. h), da ritenersi ammissibile in quanto documento sopravvenuto …”).

10.2. Si deve rilevare che, nel giudizio in questione, l’udienza di precisazione delle conclusioni si è celebrata ai sensi dell’art. 221 , comma 4, D.L. n. 34 del 2020 , conv. con modif. in L. n. 77 del 2020 , che, com’è noto, ha continuato ad applicarsi fino al 31/12/2022 in virtù di disposizioni normative che ne hanno prorogato la vigenza (v. in particolare, l’art. 7 , comma 1, D.L. n. 105 del 2021 , conv. con modif. in L. n. 126 del 2021 , e l’articolo 16 , comma 1, D.L. n. 228 del 2021 , conv. con modif. in L. n. 15 del 2022 ).

Con l’applicazione della disposizione appena riportata, l’udienza (ove il contraddittorio tra le parti si svolge in regime di oralità e alla presenza del giudice) è sostituita da una procedura composita, in cui il contraddittorio è svolto tra le parti per iscritto e senza la presenza del giudice, che esamina le loro allegazioni e deduzioni successivamente, provvedendo, poi, ad assumere le proprie decisioni.

10.3. Assume rilievo preliminare ricordare che, in base alla disciplina applicabile ratione temporis, il giudizio divorzile in appello si svolge, ai sensi dell’art. 4 , comma 15, L. n. 898 del 1970 , secondo il rito camerale, di per sé caratterizzato dalla sommarietà della cognizione e dalla semplicità delle forme, che comunque deve garantire un pieno e completo contraddittorio tra le parti (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 27234 del 30/11/2020 ; cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 37301 del 29/11/2021 , con riferimento alla prodizione di documenti all’udienza di discussione in un altro procedimento disciplinato dall’art. 737  c.p.c.).

La produzione, ritenuta ammissibile dalla Corte d’Appello, in quanto relativa a documento sopravvenuto, non può ritenersi effettuata in violazione del contraddittorio, tenuto conto che, come sopra evidenziato, la procedura cartolare sostituisce l’udienza e il documento sopravvenuto risulta essere stato offerto all’esame della controparte, in quanto depositato con le note che sostituiscono la discussione. Il A.A. avrebbe, dunque, potuto depositare ulteriori note per contestare in rito o nel merito la produzione avversaria, prima della data del 12/12/2022.

Parte ricorrente non ha, invece, indicato la specifica lesione al diritto di difesa che avrebbe subito, per effetto della descritta condotta processuale. E, come più volte evidenziato da questa Corte, la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione. Ne consegue che è inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 26419 del 20/11/2020 ).

11. Anche il sesto motivo di ricorso è inammissibile.

Parte ricorrente ha dedotto che la Corte di appello ha attribuito un significato alla certificazione medica del 25/11/2022, prodotta con la nota del 07/12/2022, sopra menzionata, che invece non aveva, ma non ha riportato il contenuto del documento, sicché la censura si rivela del tutto generica e insuscettibile di essere valutata sulla base della semplice lettura del ricorso, in violazione dell’art. 366 , comma 1, n. 4, c.p.c.

12. È inammissibile, infine, l’unico motivo di ricorso incidentale.

Nella parte in cui è prospettata l’eccessiva esiguità dell’assegno divorzile, le censure si sostanziano un una critica alle valutazioni di merito operate dal giudice di appello, non condivise e ritenute ingiuste dalla parte, che sollecita un inammissibile riesame del giudizio di fatto.

Nella parte in cui è criticata la mancata ammissione delle prove richieste, ai dedotti fini della dimostrazione della spettanza dell’assegno divorzile anche per la funzione perequativo-compensativa, il motivo è estremamente generico e indeterminato e, oltre a non essere corredato dalla indicazione delle norme asseritamente violate, non contiene alcuna illustrazione dei capitoli di prova formulati, né della loro decisività.

13. In conclusione, deve essere accolto il primo, il secondo e il terzo motivo di ricorso principale, nei termini di cui in motivazione, mentre deve essere dichiarato assorbito il quarto, e dichiarati inammissibili il quinto e il sesto. Deve, inoltre, essere dichiarato inammissibile il ricorso incidentale.

La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata con rinvio della causa alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, chiamata a statuire anche sulle spese del presente giudizio di legittimità, la quale dovrà dare applicazione dei seguenti principi di diritto:

“In tema di separazione consensuale, gli accordi dei coniugi hanno un contenuto essenziale, che ha causa concreta nella separazione, recante le pattuizioni volte ad assolvere ai doveri di solidarietà coniugale per il tempo immediatamente successivo alla separazione, cui può aggiungersi un contenuto eventuale, che ha mera occasione nella separazione, recante pattuizioni finalizzate a regolare situazioni patrimoniali che non è più interesse delle parti mantenere in vita. La disciplina giuridica di tali pattuizioni è profondamente diversa, poiché gli accordi che disciplinano il contenuto essenziale della separazione possono essere revocati e modificati ai sensi del previgente art. 710  c.p.c. (ovvero in applicazione dell’attuale art. 473-bis  29, c.p.c.) e, con riguardo ai rapporti tra coniugi, sono destinati ad essere superati dalla pronuncia di divorzio, che reca con sé nuove condizioni correlate all’acquisto del nuovo status, mentre gli accordi semplicemente occasionati dalla procedura separativa sono assoggettati alla disciplina propria dei negozi giuridici e il giudice adito non può revocarli o modificarne il contenuto”.

“In tema di separazione consensuale, per distinguere i patti che integrano il contenuto eventuale degli accordi da quelli che costituiscono il contenuto essenziale – i quali non sono suscettibili di modifica o revoca ex art. 710  c.p.c. né possono essere sostituiti dalle condizioni conseguenti al divorzio, ma sono negozi autonomi, che regolano i reciproci rapporti dei coniugi ai sensi dell’art. 1372  c.c. – l’interprete è chiamato a indagare la comune intenzione delle parti, accertando se si tratti di patti che hanno nella separazione una mera occasione, e non la loro causa concreta, facendo uso dei canoni interpretativi forniti dall’art. 1362  e ss. c.c., secondo i quali il primo strumento da utilizzare è il senso letterale delle parole e delle espressioni adoperate.”

14. In applicazione dell’art. 13 , comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002 , si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.

15. In caso di diffusione, devono essere omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma dell’art. 52  D.Lgs. n. 196 del 2003 .

P.Q.M.

la Corte

accoglie il primo, il secondo e il terzo motivo del ricorso principale, dichiarando assorbito il quarto e inammissibili il quinto e il sesto;

dichiara inammissibile il ricorso incidentale;

cassa la decisione impugnata, nei limiti dei motivi accolti, e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, chiamata a statuire anche sulle spese del presente giudizio di legittimità;

dà atto, in applicazione dell’art. 13 , comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002 , della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto;

dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati, a norma dell’art. 52  D.Lgs. n. 196 del 2003 .

Conclusione

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 1 febbraio 2024.

Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2024.

Studio Daplex

Lo studio